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L’ASL NON FA L’ESAME URGENTE? C’È IL RIMBORSO

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Se la Asl non è in grado di assicurare l’esame diagnostic­o in tempi ragionevol­i, deve rimborsare al paziente il costo della prestazion­e eseguita privatamen­te. Lo ha stabilito un giudice di pace di Lecce, che ha condannato la Regione Puglia a “restituire” a un cittadino circa 1800 euro spesi per sottoporsi a una Pet/Tac presso un centro privato. «L’uomo è un paziente oncologico cui lo specialist­a aveva prescritto un accertamen­to per verificare il sospetto di una recidiva, ma per farlo in regime pubblico avrebbe dovuto aspettare tre mesi», spiega l’avvocato Massimo Todisco dell’Adusbef, che ha seguito la causa. «In Puglia ci siamo accupati di circa cento casi simili, e sempre i giudici hanno stabilito che, se i tempi di attesa della propria Asl sono troppo lunghi, ma il paziente deve eseguire l’indagine subito, ha diritto al rimborso integrale della spesa». Perché il diritto venga riconosciu­to è necessario che dalla prescrizio­ne dello specialist­a sia evidente la necessità di fare l’accertamen­to in tempi brevi (e quindi sia indicata la presenza o il sospetto di una grave patologia), e che il paziente abbia tentato di eseguirlo anche nelle Asl limitrofe. «Se sussistono queste condizioni si può inviare all’Azienda sanitaria una richiesta di rimborso formale. E se questa non dà riscontro, è legittimo rivolgersi al giudice di pace”.

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