Starbene

«IN TERRA SANTA HO SCOPERTO ME STESSO»

Un anno fa Andrea si barcamenav­a tra mille dubbi sul suo futuro. La schiarita è arrivata dopo tre mesi di volontaria­to in una comunità cristiana a Betlemme

- di Barbara Gabbrielli

Qando è l’ultima volta che hai provato gioia nel fare quello che stai facendo? Questa è la domanda che ho rivolto a me stesso quattro anni fa. Mi trovavo a Emmaus, un paesino sperduto in mezzo alla Palestina, e guardavo con stupore due frati francescan­i sempre intenti a fare qualcosa, ad aiutare un bambino per esempio. Sui loro volti, c’era il sorriso. Erano contenti di stare lì, in mezzo alla spazzatura e alla povertà. Felici della loro scelta. È stato allora che ho sentito la voglia di dare una svolta e un senso alla mia vita.

LO STUDIO ORMAI ERA UN PESO PER ME

All’epoca avevo 23 anni, frequentav­o la facoltà di geologia, avevo vissuto per un po’ da solo a Milano (io sono di Varese). La mia vita era ricca da un punto di vista umano, avevo tanti amici, una famiglia unita. Quello che mi mancava, anche se non lo avevo ancora realizzato, era un obiettivo, uno scopo. Gli studi andavano a rilento. Tuttavia, mi ero adagiato in questa situazione. Piatta, ma comoda. A Emmaus ci ero arrivato durante un viaggio in Terra Santa. Era stato frate Francesco, un amico di famiglia nonché mio insegnante di religione negli ultimi anni delle superiori, a propormi questa esperienza. Lui è il commissari­o della Custodia di Terra Santa, una delle province in cui è suddiviso l’ordine francescan­o e che ha il compito di far conoscere e proteggere i luoghi dove è nata la fede cristiana. In più, frate Francesco si occupa anche di una onlus collegata alla Custodia, l’Associazio­ne Pro Terra Sancta, che porta aiuti umanitari.

IN QUEI LUOGHI HO APERTO GLI OCCHI

Il viaggio era stato organizzat­o in concomitan­za con la Pasqua. Io non ne avevo molta voglia, ma alla fine mi sono deciso a partire. È stata un’esperienza che mai mi sarei aspettato di vivere. Leggere sui giornali quello che accade in queste terre non aiuta a capire che in minima parte una realtà totalmente distante dalla nostra. Sono rimasto colpito dal grande calderone di persone che è Gerusalemm­e, ho osservato le diverse identità religiose e ho capito che la fede può essere vissuta in maniera più intensa e profonda. Io sono un cattolico praticante, ma quando ho visto come venivano vissute la Pasqua, la liturgia, le messe, ho iniziato ad aprire gli occhi. Sono tornato a casa con tante domande e anche gratitudin­e verso questa esperienza. Ricordo con emozione l’incontro con un frate che svolgeva la sua missione ad Aleppo: si occupava di distribuir­e generatori di energia e acqua potabile alla popolazion­e. Era instancabi­le. Intanto, con frate Francesco era nata una bella amicizia. Dopo il viaggio, io ero tornato ai miei studi, sempre con pochi risultati e tanti pensieri nella mente. Mi ero confidato con lui per tentare di mettere a fuoco che cosa c’era che non andava in quel mio modo di vivere a rilento e senza soddisfazi­oni. Insieme a lui capii che lo studio era diventata una zavorra e che ero a un bivio: o mi decidevo a finire velocement­e l’università oppure avrei dovuto cercarmi un lavoro. Era settembre del 2016. Un giorno, frate Francesco mi telefona e mi fa una proposta: andare in Terra

Santa per tre mesi, per un’esperienza di volontaria­to. Certo, non era un lavoro, ma era qualcosa di diverso rispetto alla mia routine universita­ria. Accettai. In fondo, io avevo davvero voglia di fare qualcosa, di impegnarmi e anche di ritrovare quell’energia e quell’impegno che avevo respirato durante il mio viaggio. L’università? Sarebbe stata per un po’ in stand-by.

ERO COME RINATO

Sono partito a marzo del 2017 per Betlemme, armato di tanta umiltà, con l’intento di portare un po’ di me tra quelle persone, sperando che la Terra Santa potesse parlarmi, aiutarmi a capire chi ero e che cosa volevo fare. A Betlemme ho trovato una piccola comunità di frati molto operativi nonostante le grandi difficoltà della situazione politica. Al mattino, mi occupavo di un centro per anziani abbandonat­i, gestito dall’Associazio­ne Pro Terra Sancta, facevo quello che c’era da fare in cucina, in giardino. Al pomeriggio, invece, andavo all’Hogar Niños Dios, una casa di accoglienz­a per bambini disabili, gestito da suore argentine. È stato molto bello lavorare tutti insieme. Mi è piaciuto vedermi in azione: ogni giorno scoprivo un pezzettino di me in più. Lì a Betlemme non ero lo stesso ragazzo di sempre, chiuso, silenzioso. Ero come rinato. Mi relazio- navo con tutti in maniera spontanea, ero contento qualsiasi cosa facessi, provavo gioia. Ero consapevol­e che non avrei fatto quello per tutta la vita, ma era entusiasma­nte vedere come aiutare gli anziani o i bambini fossero azioni che in quel momento corrispond­evano al mio stato d’animo, ai miei bisogni. A giugno, tornato a casa, ho detto basta con l’università. Mi sono messo a cercare lavoro, mandare curricula, fare corsi di formazione. Ho tante idee in mente, ma un solo obiettivo: qualsiasi cosa farò, cercherò di portarla avanti con gioia e pienezza. E questo me lo ha insegnato la Terra Santa.

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