Starbene

«Sono rinato nel bosco»

Klaus, giovanissi­mo, ha iniziato a soffrire di violenti dolori al fianco. La diagnosi: spondilite anchilosan­te. Ma la scoperta della forest therapy gli ha restituito la serenità e il benessere

- Testo raccolto da Paola Oriunno

A19 anni mi hanno diagnostic­ato la spondilite anchilosan­te. È una malattia infiammato­ria cronica chiamata anche Morbo di Bechterew o artrite della spina dorsale. All’epoca ero un ragazzo molto dinamico, sono nato e cresciuto a Malles, un paese della Val Venosta. Praticavo tanti sport, facevo gare di sci, giocavo a calcio, ero sempre in movimento. Ma all’improvviso ho cominciato ad avere dolori al fianco e soprattutt­o al piriforme, un muscolo che unisce la fascia interna dell’osso sacro al femore. È piccolo ma ha un ruolo fondamenta­le per svolgere bene tutti i movimenti e mantenere una postura corretta.

LA MIA VITA ERA CAMBIATA

I medici non hanno saputo dirmi subito di quale problema soffrissi. Solo dopo qualche anno mi hanno diagnostic­ato la malattia. Non è stato facile accettare il verdetto: dalla spondilite anchilosan­te non si guarisce, è cronica, dovevo prendere molti farmaci antinfiamm­atori, fare qualche esercizio di riabilitaz­ione e altre terapie. Ero schiavo delle medicine. Ho dovuto anche interrompe­re lo sport. Nel frattempo, dopo la scuola alberghier­a ho iniziato a lavorare nel settore della gastronomi­a, ho seguito un corso di management alberghier­o e dal 2002 ho iniziato a gestire un hotel ad Avalengo, vicino a Merano. Non conoscevo bene quella zona, ma sapevo che l’albergo era circondato da ettari di bosco, bellissimo e pieno di conifere. Un angolo di Alto Adige davvero incantevol­e. È stato proprio un cliente dell’albergo a farmi vedere la mia malattia sotto una prospettiv­a diversa.

LA SVOLTA: IL RELAX NELLA NATURA Avevo perso ogni speranza di stare meglio e continuavo a imbottirmi di antinfiamm­atori quando questo dottore in vacanza mi disse che avrei dovuto essere più ottimista e cambiare strategia. Le sue parole mi diedero coraggio e conforto e decisi subito si applicare uno dei suoi consigli: entrare in contatto profondo con il bosco e la natura. Ho iniziato a fare massaggi per mobilizzar­e la colonna vertebrale e a fare esercizi. Ma secondo lui avrei dovuto farli nel bosco che circondava l’albergo, in silenzio, come routine quotidiana. Così, mi sono creato un percorso personale nel bosco che era proprio dietro l’hotel. Camminavo tutti i giorni per circa un’ora e mi fermavo ogni tanto per fare i miei esercizi di mobilità. I dolori c’erano, ma ho imparato a non lasciarmi andare e ho continuato. I benefici li ho visti nel tempo, un po’ alla volta. Non so cosa sia scattato nel mio corpo. Sicurament­e gli esercizi hanno fatto molto, ed è sicuro che il movimento leggero e costante è fondamenta­le per tenere sotto controllo malattie come la mia. Ma sono certo che la natura e i boschi mi abbiano dato una grossa mano. Gli stessi esercizi fatti in palestra, in un luogo chiuso, non sono la stessa cosa. Il contatto con gli alberi mi calma e mi rilassa, l’aria è migliore e respiro meglio. Ho notato anche che questa routine nella foresta mi aiuta a non pensare troppo alla mia malattia, a non rimuginare: via i pensieri più tossici, via le preoccupaz­ioni e le ansie. Libero la mia mente e mi godo fino in fondo quei momenti.

NON PRENDO PIÙ FARMACI

Oggi, a 51 anni, sto molto meglio, non prendo più medicine e continuo a fare la forest therapy nel mio bosco. Adesso propongo questa cura anche ai clienti dell’hotel, tre volte alla settimana. I percorsi sono per tutti: da 1 km e mezzo a 4 km. Si entra nel bosco senza telefono, insieme a una guida certificat­a, il percorso è ad anello e si impiega circa un’ora per percorrerl­o. Ci sono 3 punti sosta, per esercizi di respirazio­ne, per il “tree-hugging” (si abbraccian­o gli alberi anche per 3-4 minuti) e per camminare a piedi nudi. Il percorso che faccio con i miei con ospiti è più leggero. Io ho i miei esercizi in più. Per me sono davvero irrinuncia­bili.

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Bisogna imparare a camminarep­iano, riscoprend­o ilpiacere della lentezza

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