Controlli frequenti da zero a sei anni
Il caso di Maria è davvero straordinario: una gravidanza dura 40 settimane e lei è nata appena alla 22esima, quando tutte le funzioni del feto sono ancora assicurate dalla placenta. Secondo la classificazione dell’Oms, i parti che avvengono prima della 28esima settimana si definiscono “estremamente pretermine”. A 23 settimane, la percentuale di sopravvivenza è del 40% e il rischio di deficit psicomotori è molto alto. «Questi neonati non possono respirare autonomamente e devono quindi essere intubati e collegati a un ventilatore meccanico» spiega la dottoressa Camilla Gizzi, primario di neonatologia all’Ospedale San Carlo di Potenza. «Fortunatamente oggi disponiamo di tecnologie molto avanzate: i moderni ventilatori non sono invasivi ma agiscono in sintonia con il respiro spontaneo del bambino, regolando la quantità di aria in entrata e in uscita», aggiunge il professor Rocco
Maglietta, direttore generale del San Carlo, ospedale che ospita l’unica terapia intensiva neonatale della Basilicata e che ogni anno accoglie e cura 400 prematuri. Oltre alla funzionalità polmonare, anche quella renale può presentare gravi problemi, mentre a livello cerebrale più il piccolo è pretermine più aumenta il rischio di emorragie intracraniche. Anche gli occhi sono messi a dura prova: la retinopatia legata all’eccessiva prematurità è la prima causa di cecità nei neonati. «Dentro le incubatrici, che tentano di ricreare il comfort dell’utero materno, i neonati vengono alimentati per via parenterale con una dieta studiata ogni giorno in modo da fornire un corretto apporto di nutrienti», prosegue la neonatologa Gizzi. «Una volta usciti dalla terapia intensiva, i piccoli devono seguire un followup serrato, con controlli che si protraggono fino ai sei anni. Servono a monitorare nel tempo eventuali conseguenze sul piano fisico e psicologico che la fretta di venire al mondo può comportare».