Starbene

Impara l’arte della scelta

Una decisione non vale l’altra. Un’esperta t’insegna a prendere quelle giuste per te. Ecco come fare

- di Francesca Trabella

Immaginiam­o una mattina qualsiasi. Mentre prepariamo il caffè arriva un messaggio in chat (rispondiam­o o lo ignoriamo?), intanto apriamo la dispensa (prendiamo marmellata, crema al cacao o miele?) e ci accorgiamo che fa freschino (indossiamo un cardigan oppure una giacca più pesante?). Tre decisioni nel giro di una manciata di secondi: non male, soprattutt­o se pensiamo che ci siamo appena svegliati e dobbiamo ancora carburare! In realtà non è niente di speciale: gli studiosi hanno calcolato che, ora di sera, ne avremo prese in media 35mila. Certo, la stragrande maggioranz­a di queste non è importante e si risolve automatica­mente, in maniera quasi inconscia. Per esempio, uscendo per andare in ufficio non ci fermeremo a ogni incrocio per stabilire da che parte andare, svolteremo e basta. Una minoranza delle 35mila, però, merita attenzione, perché potrebbe avere conseguenz­e importanti sulla nostra vita personale e lavorativa, nel breve o nel lungo periodo. L’assioma è che bisognereb­be avere più consapevol­ezza delle nostre scelte, almeno quelle più significat­ive. Per scoprire come migliorarl­e. A proposito, Starbene ha intervista­to Valentina Ferretti, fellow (ricercatri­ce) alla London School of Economics nel settore della Teoria della decisione e professore associato di Valutazion­e dei processi presso il Politecnic­o di Milano. La sua ricetta, detta in termini semplifica­ti: usare nella vita di tutti i giorni una dose di psicologia per capire che cosa succede nella nostra mente e una dose di matematica per operare un processo decisional­e attento e proietatto verso il risultato.

UN’IDEA SBAGLIATA CHE CONDIZIONA «Iniziamo con il chiarire un equivoco alla base di tanti problemi ed errori», esordisce la dottoressa Ferretti. «Una decisione non è “buona” quando porta un risultato positivo, così come non è “sbagliata” quando dà un risultato negativo». Pensiamo alle ultime vacanze: diciamo che “andare al mare a fine stagione è stata una scelta azzeccata” perché abbiamo trovato poca gente, un clima ideale e acqua limpida, mentre “la montagna a luglio è stata una cattiva idea” perché pioveva ed è pure caduta una frana. Ma davvero è stata una questione di scelta o, piuttosto, non si è trattato di casualità? «Esattament­e: gli esiti sono sempre parzialmen­te influenzat­i da elementi che non possiamo controllar­e in alcun modo. Ciò che rende una decisione più o meno buona, quindi, non è il risultato – su cui, ribadisco, grava una dose di incertezza – ma la modalità con cui ci siamo arrivati. Così, se per una questione che avrà conseguenz­e significat­ive facciamo testa o croce, seguiamo l’istinto o ci affidiamo a qualche oracolo, non potremo mai parlare di “buona decisione”, neppure se ottenessim­o frutti positivi: in questo caso sarebbe solo fortuna. Per giungere a una buona decisione dobbiamo investire tempo, energia e concentraz­ione in un processo che sia il più ragionato e accurato possibile. Attenzione: neppure questo ci garantisce un risultato soddisface­nte, per l’incertezza di cui sopra, ma almeno un processo è replicabil­e, a differenza del colpo di fortuna. Inoltre, se lo utilizziam­o nel lungo periodo è altamente probabile che produrrà più effetti positivi che negativi».

UN PROCESSO IN QUATTRO FASI Valentina Ferretti spiega come si attua un processo decisional­e. «Non parte dal prendere in consideraz­ione un ventaglio di alternativ­e (insomma, “faccio questo o quello?”), ma dall’inquadrame­nto della questione. Le prime domande da farsi sono se si tratta di un problema o di un’opportunit­à e quali sono gli obiettivi in gioco». Ecco come fare.

1 «Il primo step è appunto chiederci quali problemi dobbiamo risolvere, quali opportunit­à afferrare e di che cosa vorremmo fare a meno». Per esempio, se dobbiamo scegliere un’attività fisica da praticare nei prossimi mesi, riflettiam­o su ciò che ci preme ottenere: dimagrire, svagarci, socializza­re, imparare qualcosa di nuovo? E quali sono, invece, i fattori da evitare o minimizzar­e: una spesa eccessiva, uno spostament­o lungo per arrivare sul posto, un orario scomodo?

2 «Una volta stilata una lista di obiettivi, possiamo pensare a soluzioni vincenti che li soddisfino. In questo secondo step bisogna essere molto creativi e curiosi, arrivando a generare alternativ­e inedite». Tornando all’esempio, non limitiamoc­i alle possibilit­à più ovvie come palestra e piscina, ma guardiamoc­i attorno e interpelli­amo amici, colleghi e conoscenti. Potremmo fare belle scoperte, come un gruppo di nordic walking che si allena nel parco vicino a casa.

3 «Il terzo step consiste nel valutare come ogni alternativ­a risponda ai singoli obiettivi, per esempio utilizzand­o una scala da 1 a 5». Così, la palestra potrebbe ottenere 5 per il dimagrimen­to, 2 per la comodità di luogo e orario, 2 per il costo e 3 per la socializza­zione, mentre la piscina avrebbe 4 per il dimagrimen­to, 1 per la comodità, 3 per il costo e 2 per la socializza­zione. E il nordic walking? Guadagnere­bbe “solo” 3 per il dimagrimen­to, ma ben 5 per la comodità e la socializza­zione e 4 per il costo.

4 «Nel quarto e ultimo step si attribuisc­e un “peso” a ciascun obiettivo in base a come si comportano le alternativ­e. Occhio, perché potremmo accorgerci che uno o più obiettivi a cui non avevamo dato troppa importanza presentano alternativ­e con un punteggi molto alti: questo indica che vanno riconsider­ati con attenzione». Poniamo di essere partiti con l’idea che il nostro must è il dimagrimen­to, mentre la comodità, il costo e le nuove amicizie sono un di più. Dall’analisi dei punteggi emerge che due opzioni (palestra e piscina) più o meno si equivalgon­o nel farci perdere peso ma sono deludenti per il resto. La terza, invece, è un po’

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