Impara l’arte della scelta
Una decisione non vale l’altra. Un’esperta t’insegna a prendere quelle giuste per te. Ecco come fare
Immaginiamo una mattina qualsiasi. Mentre prepariamo il caffè arriva un messaggio in chat (rispondiamo o lo ignoriamo?), intanto apriamo la dispensa (prendiamo marmellata, crema al cacao o miele?) e ci accorgiamo che fa freschino (indossiamo un cardigan oppure una giacca più pesante?). Tre decisioni nel giro di una manciata di secondi: non male, soprattutto se pensiamo che ci siamo appena svegliati e dobbiamo ancora carburare! In realtà non è niente di speciale: gli studiosi hanno calcolato che, ora di sera, ne avremo prese in media 35mila. Certo, la stragrande maggioranza di queste non è importante e si risolve automaticamente, in maniera quasi inconscia. Per esempio, uscendo per andare in ufficio non ci fermeremo a ogni incrocio per stabilire da che parte andare, svolteremo e basta. Una minoranza delle 35mila, però, merita attenzione, perché potrebbe avere conseguenze importanti sulla nostra vita personale e lavorativa, nel breve o nel lungo periodo. L’assioma è che bisognerebbe avere più consapevolezza delle nostre scelte, almeno quelle più significative. Per scoprire come migliorarle. A proposito, Starbene ha intervistato Valentina Ferretti, fellow (ricercatrice) alla London School of Economics nel settore della Teoria della decisione e professore associato di Valutazione dei processi presso il Politecnico di Milano. La sua ricetta, detta in termini semplificati: usare nella vita di tutti i giorni una dose di psicologia per capire che cosa succede nella nostra mente e una dose di matematica per operare un processo decisionale attento e proietatto verso il risultato.
UN’IDEA SBAGLIATA CHE CONDIZIONA «Iniziamo con il chiarire un equivoco alla base di tanti problemi ed errori», esordisce la dottoressa Ferretti. «Una decisione non è “buona” quando porta un risultato positivo, così come non è “sbagliata” quando dà un risultato negativo». Pensiamo alle ultime vacanze: diciamo che “andare al mare a fine stagione è stata una scelta azzeccata” perché abbiamo trovato poca gente, un clima ideale e acqua limpida, mentre “la montagna a luglio è stata una cattiva idea” perché pioveva ed è pure caduta una frana. Ma davvero è stata una questione di scelta o, piuttosto, non si è trattato di casualità? «Esattamente: gli esiti sono sempre parzialmente influenzati da elementi che non possiamo controllare in alcun modo. Ciò che rende una decisione più o meno buona, quindi, non è il risultato – su cui, ribadisco, grava una dose di incertezza – ma la modalità con cui ci siamo arrivati. Così, se per una questione che avrà conseguenze significative facciamo testa o croce, seguiamo l’istinto o ci affidiamo a qualche oracolo, non potremo mai parlare di “buona decisione”, neppure se ottenessimo frutti positivi: in questo caso sarebbe solo fortuna. Per giungere a una buona decisione dobbiamo investire tempo, energia e concentrazione in un processo che sia il più ragionato e accurato possibile. Attenzione: neppure questo ci garantisce un risultato soddisfacente, per l’incertezza di cui sopra, ma almeno un processo è replicabile, a differenza del colpo di fortuna. Inoltre, se lo utilizziamo nel lungo periodo è altamente probabile che produrrà più effetti positivi che negativi».
UN PROCESSO IN QUATTRO FASI Valentina Ferretti spiega come si attua un processo decisionale. «Non parte dal prendere in considerazione un ventaglio di alternative (insomma, “faccio questo o quello?”), ma dall’inquadramento della questione. Le prime domande da farsi sono se si tratta di un problema o di un’opportunità e quali sono gli obiettivi in gioco». Ecco come fare.
1 «Il primo step è appunto chiederci quali problemi dobbiamo risolvere, quali opportunità afferrare e di che cosa vorremmo fare a meno». Per esempio, se dobbiamo scegliere un’attività fisica da praticare nei prossimi mesi, riflettiamo su ciò che ci preme ottenere: dimagrire, svagarci, socializzare, imparare qualcosa di nuovo? E quali sono, invece, i fattori da evitare o minimizzare: una spesa eccessiva, uno spostamento lungo per arrivare sul posto, un orario scomodo?
2 «Una volta stilata una lista di obiettivi, possiamo pensare a soluzioni vincenti che li soddisfino. In questo secondo step bisogna essere molto creativi e curiosi, arrivando a generare alternative inedite». Tornando all’esempio, non limitiamoci alle possibilità più ovvie come palestra e piscina, ma guardiamoci attorno e interpelliamo amici, colleghi e conoscenti. Potremmo fare belle scoperte, come un gruppo di nordic walking che si allena nel parco vicino a casa.
3 «Il terzo step consiste nel valutare come ogni alternativa risponda ai singoli obiettivi, per esempio utilizzando una scala da 1 a 5». Così, la palestra potrebbe ottenere 5 per il dimagrimento, 2 per la comodità di luogo e orario, 2 per il costo e 3 per la socializzazione, mentre la piscina avrebbe 4 per il dimagrimento, 1 per la comodità, 3 per il costo e 2 per la socializzazione. E il nordic walking? Guadagnerebbe “solo” 3 per il dimagrimento, ma ben 5 per la comodità e la socializzazione e 4 per il costo.
4 «Nel quarto e ultimo step si attribuisce un “peso” a ciascun obiettivo in base a come si comportano le alternative. Occhio, perché potremmo accorgerci che uno o più obiettivi a cui non avevamo dato troppa importanza presentano alternative con un punteggi molto alti: questo indica che vanno riconsiderati con attenzione». Poniamo di essere partiti con l’idea che il nostro must è il dimagrimento, mentre la comodità, il costo e le nuove amicizie sono un di più. Dall’analisi dei punteggi emerge che due opzioni (palestra e piscina) più o meno si equivalgono nel farci perdere peso ma sono deludenti per il resto. La terza, invece, è un po’