E se fossi tu la causa del tuo stress?
Il livello di tensione e ansia sale o diminuisce a seconda dell’atteggiamento che hai verso la vita. Ecco perché
“Sono stressato” è la frase più inflazionata dei nostri tempi, la pronunciano tutti ma proprio tutti dall’età scolastica in avanti. In fondo, non mancano gli appigli statistici per definirci sempre sul filo del rasoio, in bilico tra ansia e depressione, panico e spossatezza: 9 italiani su 10 dichiarano di soffrire di disturbi provocati da questo continuo logorio (fonte Assosalute). Tutta colpa del superlavoro, della vita frenetica, dei soldi che non bastano mai, del clima impazzito? Beh, ci sbagliamo. Se il nostro livello di agitazione sale, molto dipende dalla prospettiva da cui guardiamo la vita. «Spesso siamo noi stessi a complicarci le giornate perché pensiamo di avere sbagliato o di essere sbagliati, diamo troppa importanza al giudizio degli altri o ci facciamo condizionare da supposizioni sul futuro o inutili pregiudizi», dice Marina Osnaghi, la prima Master certified coach in Italia. «Ci siamo presi diversi impegni nella giornata e ora ci sentiamo oppressi, per esempio? Possiamo rispondere a questa decisione con due categorie di pensiero: disfattista e arrendevole (“Ecco, ci mancava anche questo, non so come farò a uscirne”) oppure fiducioso e costruttivo (“Anche se ho sbagliato a sovraccaricarmi di appuntamenti, proverò ugualmente a portarli a termine. La prossima volta ci penserò meglio”). Se il primo tipo di risposta gonfia lo stress, ci annebbia e ci paralizza, il secondo lo contiene e ci permette di sfruttarne l’energia per essere attenti e propositivi nell’individuazione e nella messa in atto di responsabilità personali e di soluzioni per il futuro». Così, infatti, lo stress non è più un nemico, ma torna a essere l’alleato di cui ci ha dotato la Natura. «In sé è un fattore sano, positivo: ci dà la carica per reagire al meglio a impegni, imprevisti e pericoli. E smette di essere quella nube tossica che avvolge in qualsiasi circostanza la nostra esistenza», chiarisce l’esperta.
DUE ESTREMI DA EVITARE
Nella vita ci sono due estremi da evitare: essere in tensione per tutto così come fare finta che le nostre giornate siano tutte una passeggiata in discesa. ↘ Nel primo caso, non è necessario che si verifichi un intoppo: basta un evento neutro a farci “contrarre”. «Poniamo il caso che ci imbattiamo in un conoscente logorroico, il quale solitamente ci fa perdere un sacco di tempo: non appena lo vediamo, ancora prima che ci saluti, ci indispettiamo e irrigidiamo», esemplifica Osnaghi. «La ragione è che abbiamo creato un’àncora negativa su di lui, ossia abbiamo collegato la sua presenza a stati d’animo spiacevoli (insofferenza, irritazione, noia), ai quali “diamo il la” senza motivo: forse, infatti, quella persona è di fretta e non si può fermare a parlare». ↘ D’altronde, neppure minimizzare i fattori stressanti è proficuo: impedisce di attivarci in tempo utile per affrontare
la realtà esterna. Lo sottolinea la psicologa Marcella Danon, autrice del manuale Stop allo stress (vedi box a lato), che spiega: «da un certo punto di vista è invidiabile la capacità di rimanere saldi nelle proprie posizioni senza farsi scalzare da eventi esterni o interni, ma può funzionare solo per reagire a piccoli smacchi che distoglierebbero energia a quanto si sta facendo. A furia di nascondere la polvere sotto il tappeto, però, si formano gobbe su cui inevitabilmente si finisce con l’inciampare». E il crollo emotivo arriva tutto insieme.
PRIMO: FERMARSI E INTERROGARSI
«Di fronte a un onere, un contrattempo, una difficoltà possiamo prendere ciò che ci accade in malo modo, in modo troppo ottimistico, oppure lo possiamo prendere e basta», riassume Osnaghi. «La terza opzione è quella che provoca meno stress perché ci protegge sia dal vivere in una perenne ansia sia da un altrettanto pericolosa impassibilità. Ecco come tradurla in pratica. Quando qualcosa ci pone in uno stato di allerta, fermiamoci e individuiamo che cosa ci sta disturbando. Probabilmente si tratterà di uno, al massimo di due aspetti della situazione. Mi spiego: se nostro figlio non riordina la sua camera e ci obbliga a continui richiami, quello che ci dà più fastidio potrebbe non essere il suo atteggiamento indisciplinato né il caos in sé, ma qualcosa di più profondo come accorgerci che stiamo riproducendo i comportamenti dei nostri genitori, tanto detestati a suo tempo (“Urlo le stesse cose che mia madre mi rinfacciava da ragazza”). Una volta capito ciò che sta urtando i nostri punti sensibili, abbiamo già ridotto di molto il problema. Poi dovremo chiederci: “Come reagisco a ciò che mi disturba?”, “Che cosa faccio in conseguenza alla reazione?” e “Che cosa vorrei e/o potrei fare meglio?”. All’inizio, queste riflessioni potrebbero metterci in difficoltà, ma tentiamole lo stesso. Hanno lo scopo d’impedire che lo stress ci immobilizzi e ci danno spunti per gestire (senza stress) le circostanze».
→ IL SECONDO PASSO: ABBANDONARE I PREGIUDIZI
«Per arrivare al giusto distacco bisogna lasciare andare le credenze sbagliate», intervengono Marina Panatero e Tea Pecunia, esperte in tecniche di meditazione e autrici del manuale Lascia andare (vedi pagina 75). «Si tratta di convinzioni che funzionano come lenti deformanti la realtà, ci condizionano nelle interazioni con il mondo e ci privano della serenità. Le abbiamo ereditate o ci sono state inculcate (dalla famiglia, dalla società, dagli amici) oppure ce le siamo costruite partendo da un’esperienza personale reiterata o da uno choc». Vediamone qualcuna:
↘ Illuderci di poter controllare tutto, cioè gli eventi, le persone, il futuro. Nulla e nessuno è totalmente prevedibile e governabile.
↘ Considerare il passato e le abitudini (anche quelle “tossiche”) come indispensabili alla nostra stabilità e sicurezza, dunque temere ogni cambiamento e distacco. In realtà, l’esistenza è continua trasformazione.
↘ Ritenere che, ruminando i torti subiti e rifiutandoci di perdonare, troveremo soddisfazione. Se non passiamo oltre le sofferenze, non vivremo mai appieno.
↘ Reputarci degni di considerazione solo se siamo perfetti, forti, non chiediamo aiuto a nessuno e, anzi, anteponiamo il benessere, le esigenze e i desideri altrui ai nostri. In realtà, essere fallibili e bisognosi è nella natura di esseri umani.
↘ Pensare che la vita sia sofferenza e che, per riuscire a cavarcela, sia necessario compiere sforzi enormi. Questo non è scritto da nessuna parte. Il pensiero, poi, è un potente creatore: se pensiamo di dover far fatica, faremo fatica. «Una volta diventati consapevoli di queste “trappole mentali”, dobbiamo fare attenzione a quando le mettiamo in atto e provare a neutralizzarle appellandoci al nostro sentire, al nostro essere presenti a noi stessi», riprendono Pecunia e Panatero. «In questo, la meditazione può darci una grossa mano perché ci centra nel qui e ora, nell’unico momento reale: il presente. Infatti, è un addestramento che ci conduce nello stato di mushin, come lo chiamavano i Maestri zen, lo stato di non-mente, dove non siamo più travolti dalla marea di pensieri che ci porta nel passato, nel futuro, che ci abbandona sulle rive di rabbia, sensi di colpa, ansia e paura e non ci fa vivere pienamente».
IL TERZO PASSO: NUTRIRE LE “TRE A” Autostima, autoefficacia e assertività sono tre aspetti della personalità che possono aiutarci a fronteggiare gli eventi, dunque più solidi sono, meglio è. Parola di Edoardo Giusti, psicologo psicoterapeuta, fondatore e presidente dell’Aspic, Associazione per lo sviluppo psicologico dell’individuo e della comunità, co-autore di tre manuali dedicati a queste risorse (vedi pagina 75). «Quando l’autostima è buona, sentiamo di poter controllare la nostra vita, ci adattiamo in maniera flessibile e determinata alle varie situazioni, facciamo più ricorso alle nostre risorse», spiega Giusti. «L’autostima crea il presupposto per ottenere risultati personali, predispone all’azione che richiede impegno e tenacia. Ecco che entra in gioco l’autoefficacia (la convinzione di potercela sempre fare) la quale sostiene l’impegno e la tenacia. L’assertività permette di comunicare in modo diretto e onesto (nel rispetto dei diritti altrui) opinioni, sentimenti ed esigenze. Se manca l’assertività rischiamo di comportarci in modo passivo o aggressivo, alimentando emozioni spiacevoli e compromettendo le relazioni e la considerazione di sé». In sostanza, spianiamo la strada allo stress.