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Sportello diritti

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D e la diagnosi arriva in ritardo, non sempre il paziente ha diritto a un risarcimen­to. Dovrà dimostrare che l’errore gli ha causato un danno effettivo, e che un intervento tempestivo avrebbe impedito o rallentato l’aggravarsi della malattia, evitando le sue conseguenz­e. Lo ha di recente confermato la Corte di Cassazione nella sentenza 514/2020, che ha rigettato il ricorso di un uomo che chiedeva alla propria Asl un indennizzo per un’ischemia diagnostic­ata con ritardo. Il tribunale ha sì riconosciu­to alla vittima il danno non patrimonia­le, ma solo in minima parte, per il peggiorame­nto imputabile alla diagnosi tardiva. Spiega l’avvocato Paola Tuillier di dirittidel­paziente.it: «I giudici hanno accertato che l’ischemia avrebbe causato in ogni caso all’uomo un’invalidità del 45%. Poiché a causa della mancata diagnosi le sue condizioni si sono aggravate, portando il grado di invalidità al 65%, è stato quindi stabilito che avrà diritto al risarcimen­to solo per quel 20% di aggravamen­to». In precedenza i giudici avevano già negato al paziente il riconoscim­ento del danno patrimonia­le, chiesto perché non poteva più svolgere il suo lavoro. «Anche qui la vittima deve certificar­e che l’incapacità lavorativa è diretta conseguenz­a dell’intervento ritardato e non degli effetti inevitabil­i della patologia».

Il diritto al risarcimen­to scatta invece se la diagnosi tardiva riguarda una malattia terminale e causa un ritardo nella somministr­azione delle cure palliative, perché ha privato il paziente della possibilit­à di alleviare il dolore.

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