METTITI ALLA PROVA
Hai problemi di riconoscimento? Fai una semplice verifica con questi tre test
terventi di asportazione di tumori cerebrali, ma anche il deterioramento cognitivo tipico delle demenze frontotemporali», spiega l’esperta. Nella forma congenita di prosopagnosia, invece, le connessioni fra queste aree non funzionano al meglio sin dalla nascita, per cui a giustificare il problema non ci sono lesioni di natura neurologica, ma piuttosto fattori di tipo genetico ed ereditario.
Come si diagnostica
Prima di arrivare alla diagnosi di prosopagnosia, è necessario escludere altre problematiche attraverso una serie di indagini neurologiche e neuropsicologiche. «Innanzitutto, con la risonanza magnetica all’encefalo o altri esami strumentali è possibile capire se l’area coinvolta dal problema è proprio quella deputata al riconoscimento dei volti», specifica la dottoressa Petrillo. «In seconda battuta, soprattutto quando il problema è associativo e non apercettivo, è bene escludere un disturbo di memoria, tipico ad esempio dell’Alzheimer, dove è piuttosto frequente non riconoscere più i famigliari. Ecco perché servono dei test che indaghino la memoria generale, al di là dei volti, e altri che sfruttino le fotografie di visi noti, magari di personaggi famosi, per capire l’associazione che viene fatta con la rispettiva identità».
Come si interviene
Non esiste una cura per la prosopagnosia, con cui è necessario convivere mettendo in atto delle strategie compensatorie, che consistono per esempio nell’imparare a riconoscere una persona dal tono della voce, dal taglio di capelli, dal modo di gesticolare o di camminare. «Pur non trattandosi di soluzioni definitive, queste tecniche sono comunque utili e consentono di vivere meglio le relazioni interpersonali», commenta Petrillo. In effetti, questo deficit può essere fortemente limitante dal punto di vista sociale, visto che i volti rappresentano gli stimoli visivi più importanti per l’uomo: oltre a trasmettere aspetti come il genere, l’identità e le informazioni di tipo emotivo, il viso è anche uno dei primi “pezzi di mondo”
che impariamo a riconoscere da piccoli. «Dopo pochi giorni di vita, infatti, i bambini sono già in grado di distinguere il volto della mamma da quello di un estraneo, per cui si tratta di un elemento atavico».
A volte è “altro”
La prosopagnosia non va confusa con l’incapacità di ricordare i nomi delle persone quando le vediamo per strada oppure ne vediamo il volto in fotografia. «Questa sensazione può capitare a tutti, e non sempre nasconde una situazione patologica: a volte, per esempio, basta incontrare una persona al di fuori del normale contesto in cui siamo abituati a vederla per andare in confusione. Nella prosopagnosia, invece, è proprio il volto a non poter essere riconosciuto. Per fortuna, non si tratta di una condizione così diffusa, perché solo il 2% circa della popolazione ne è interessata, per lo meno nella forma congenita», conclude la dottoressa Petrillo.