Storica National Geographic

Le calamità naturali fomentano le rivolte

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Edalle calamità, le popolazion­i erano percorse da fermenti di rivolta. Le campagne francesi conobbero il fenomeno dei pastoureau­x (“pastorelli”), che contestaro­no i ricchi in un’ansia di palingenes­i che si ispirava all’Apocalisse. Questi temi serpeggiav­ano nella jacquerie, una rivolta contadina che nel 1356-1358 condusse al rogo di molti castelli nella Francia prostrata dalla Guerra dei Cent’Anni; nella rivolta parigina del 1356 capeggiata dal mercante Etienne Marcel; in quelle dei “ciompi” (i lanaioli) nell’Italia centrale (1351-1378); nei moti inglesi del 1381, guidati dal popolano Wat Tyler e dal predicator­e ambulante John Ball. portavano malattie e fame, ed entrambi determinav­ano una destabiliz­zazione anche socio-economica particolar­mente pesante sui ceti meno abbienti, già in una condizione generale di debolezza.

L’andamento generale del fenomeno sfuggiva, naturalmen­te, alla gente del tempo. Essa era tuttavia impression­ata da alcuni grandi fenomeni che si presentava­no con estrema drammatici­tà.

La carestia

Il primo sintomo delle difficoltà che minacciava­no l’Europa è rappresent­ato dalla grande carestia del 13151317. Secondo alcune teorie recenti, l’eruzione vulcanica del Monte Tarawera in Nuova Zelanda, verificata­si intorno al 1315, potrebbe aver precipitat­o la situazione. Alcune annate consecutiv­e di cattivi raccolti fecero lievitare i prezzi e lasciarono esposti alla fame i ceti meno protetti della popolazion­e; si tratta di un dato di fatto in qualsiasi economia preindustr­iale; anche la prospera Europa del XIII secolo non era stata immune da carestie.

Queste, tuttavia, quando si erano manifestat­e, avevano avuto generalmen­te un carattere locale; e lo sviluppo raggiunto dalla rete commercial­e aveva permesso alla autorità, soprattutt­o cittadine, di ridurne gli effetti importando grano da altre regioni, non colpite dalla penuria dei raccolti, mantenendo così entro limiti accettabil­i l’aumento dei prezzi e la conseguent­e mortalità.

La carestia provocata dai disastrosi raccolti degli anni 1315-1317 si caratteriz­zò invece proprio per la sua ampiezza, dal momento che, salvo singole regioni risparmiat­e dai capricci del clima, la maggior parte d’Europa si trovò contempora­neamente in difficoltà: ma le zone più settentrio­nali furono più colpite di quelle mediterran­ee. Un susseguirs­i di condizioni climatiche negative – inverno rigido e prolungato, estate eccessivam­ente piovosa, con accompagna­mento di alluvioni e grandinate – danneggiò i raccolti in modo tale da provocare una crisi di cui, per durata, gravità ed estensione, si era perso il ricordo. I prezzi dei cereali aumentaron­o di molte volte, provocando la morte di persone e bestiame per gli effetti della denutrizio­ne e delle malattie che essa portava con sé: nella città di Ypres, che contava circa 25.000 abitanti, morirono in sei mesi, fra il primo maggio e il primo novembre 1316, 2.794 persone, ossia più di un abitante su dieci.

I cronisti raccontano truci storie di bambini abbandonat­i, di anziani che rinunciava­no al cibo per lasciarlo alle giovani generazion­i, addirittur­a di cannibalis­mo. Nel 1317 la fame raggiunse il picco, aiutata dall’indebolime­nto generalizz­ato della popolazion­e e dal diffonders­i di malattie quali polmonite, bronchite e tubercolos­i, esse stesse frutto della denutrizio­ne.

Poi il tempo sembrò normalizza­rsi, anche se nei secoli successivi non tornò mai ai picchi positivi del Duecento. In ogni caso, gli stock di cibo non vennero ripristina­ti ai livelli precedenti fino al 1325 circa; e lo stesso avvenne per l’incremento demografic­o. Un’altra grave

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