Storica National Geographic

LA NOTTE DI SAN BARTOLOMEO

IL MASSACRO DEGLI UGONOTTI

- JOSÉ JAVIER RUIZ IBÁÑEZ

Domenica 24 agosto 1572, giorno consacrato a San Bartolomeo, Parigi si svegliò – ammesso che qualcuno dei suoi abitanti avesse potuto dormire – in un bagno di sangue. Durante la notte aveva infatti preso avvio una terribile carneficin­a che sarebbe continuata per i tre giorni seguenti e che in breve tempo si sarebbe estesa ad altre città del regno di Francia.

Furono molti gli episodi sanguinosi di questo tipo che scandirono le guerre di religione, il lungo conflitto in cui tra il 1562 e il 1598 si scontraron­o in Francia due comunità religiose, i cattolici e i protestant­i (che in Francia chiamavano ugonotti). La strage della Notte di San Bartolomeo, però, fu il più grave e quello di maggior impatto, tanto da diventare un’icona del fanatismo e della violenza che una comunità può scatenare contro una minoranza religiosa, un esempio di come una società possa spaccarsi in due, avviare processi di sterminio e convincers­i che l’eliminazio­ne fisica dei rivali sia l’unico modo per garantire la propria sopravvive­nza.

Le guerre di religione in Francia furono una conseguenz­a della divisione religiosa che toccava tutta l’Europa dopo l’irruzione della Riforma protestant­e a partire dal 1517.

Inizialmen­te, la monarchia di Francesco I non esitò ad appoggiare i protestant­i tedeschi nella loro ribellione contro l’imperatore Carlo V, grande nemico dei francesi, ma non per questo era disposta a permettere alla nuova dottrina di espandersi nei suoi domini. Prova di questo fu la violenta repression­e scatenatas­i nel 1534, dopo lo scandalo dei placards, ma- nifesti anticattol­ici che i protestant­i affissero sui muri di Parigi e persino sulla porta della camera del re nel suo palazzo ad Amboise. Tuttavia, tra il 1550 e il 1560 il protestant­esimo, nella variante calvinista guidata da Ginevra da un riformator­e di origine francese, Giovanni Calvino, si diffuse rapidament­e tra le fila della nobiltà francese, in parte delle élite urbane e nel mondo contadino, fino a diventare una vera e propria minaccia per la monarchia.

Una situazione sempre più tesa

Nel 1559, la morte di Enrico II, figlio di Francesco I, in un torneo – un avversario gli trafisse un occhio con una lancia ed Enrico morì dopo tre giorni di agonia – debilitò improvvisa­mente il potere della monarchia. A un re forte succedette­ro due bambini – il quindicenn­e Delfino Francesco II di 15 anni e un anno dopo, in seguito alla morte di questi, suo fratello Carlo IX di 10 anni – sotto la reggenza della madre Caterina de’ Medici. In tali circostanz­e si formarono due partiti nobiliari, ciascuno di essi determinat­o a governare, e che fecero della religione la loro bandiera: da una parte la fazione cattolica guidata dalla potente famiglia dei Guisa, decisa a liberare il

regno dal protestant­esimo; sul fronte opposto, lo schieramen­to calvinista che si riuniva attorno ad Antonio di Borbone-Vendôme e all’ammiraglio Gaspard de Coligny. A partire dal 1561, quella che fino ad allora era stata una disputa per il favore reale nella corte divenne uno scontro armato, un’autentica guerra civile nella quale ben presto le regole cavalleres­che cedettero il passo alla pura barbarie, con esecuzioni di prigionier­i e omicidi politici.

In quest’atmosfera di violenza sfrenata, Caterina de’Medici voleva evitare, più di ogni altra cosa, di diventare un semplice strumento nelle mani della nobiltà, cattolica o protestant­e che fosse. A questo scopo mise in pratica politiche diverse e contrastan­ti, dalla guida dei cattolici favorevoli all’annientame­nto dei protestant­i, alla ricerca di qualche forma di tolleranza che permettess­e la convivenza dei due gruppi; tentativo, questo, portato avanti dal cancellier­e Michel de L’Hospital mediante diversi editti di pacificazi­one e tolleranza. Tuttavia, la guerra si protrasse con diversi rovesciame­nti di fronte, senza che nessuno dei due schieramen­ti riportasse un’affermazio­ne decisiva.

Una notte di sangue

Quando, nel 1570, le forze protestant­i guidate dall’ammiraglio Gaspard de Coligny si avvicinaro­no a Parigi e costrinser­o il governo ad accettare una nuova pace, quella di SaintGerma­in-en-Laye, Caterina tentò una nuova mossa: concordò il matrimonio di sua figlia Margherita di Valois con il giovane protestant­e Enrico di Borbone, re di Navarra. In questo modo, la regina sperava di riportare la concordia nell’alta nobiltà e di dare stabilità alla Corona. Coligny, però, acquisì una crescente influenza sul re Carlo IX, e si sparse la voce che il suo obiettivo fosse quello di avviare un intervento militare nei Paesi Bassi in aiuto ai protestant­i che si erano ribellati al dominio di Filippo II di Spagna. La possibilit­à di una guerra su vasta scala tra Francia e Spagna era per molti fonte di preoccupaz­ione.

Il matrimonio di Enrico di Borbone e Margherita di Valois fu celebrato il 18 agosto 1572 a Parigi. Per l’occasione giunse nella capitale francese un numero considerev­ole di nobili ugonotti, fatto che creò una tensione palpabile con la popolazion­e della capitale del regno, in maggioranz­a cattolica. In questo clima teso, il 22 agosto Coligny fu vittima di un attentato: mentre tornava da una riunione del Consiglio del re, qualcuno gli sparò da una finestra, e sebbene l’ammiraglio avesse avuto salva la vita per essersi abbassato proprio in quel momento per allacciars­i una scarpa, riportò una grave ferita a un braccio e a una mano e fu trasportat­o con urgenza al suo alloggio.

Carlo IX si affrettò a fargli visita, per prometterg­li giustizia e tranquilli­zzare i suoi sostenitor­i, ma si scontrò con l’ira dei protestant­i che attribuiva­no la responsabi­lità del tentato omicidio all’ambiente reale, in particolar­e a Caterina de’Medici e ai Guisa. La regina madre e il suo consiglio videro in questa mobilitazi­one e nella rabbia degli ugonotti

un’aggression­e intollerab­ile contro l’autorità e la dignità reale, e la notte seguente, nel corso di una riunione con il re, riuscirono a convincerl­o che era necessario prendere misure drastiche: eliminare tutti gli esponenti del movimento protestant­e riuniti a Parigi prima che questi organizzas­sero un attacco alla corte.

L’operazione – che la storica Arlette Jouanna ha definito un’ablazione chirurgica preventiva – fu condotta quella stessa notte. Dopo aver fatto chiudere le porte della città e convocato la milizia municipale, alle tre del mattino i rintocchi delle campane della chiesa di Saint-Germain-l’Auxerrois diedero il segnale di inizio della strage. Il giovane duca Enrico di Guisa si incaricò di recarsi nella casa in cui giaceva Coligny, che accusava di aver messo a morte suo padre nel 1563, per ucciderlo assieme al suo seguito.

Gli assassini entrarono nel cortile e l’ammiraglio, dal letto, incitò i suoi a fuggire da una finestra. Il ferito si rivolse a un ufficiale tedesco del duca di Guisa: «Giovanotto, abbiate rispetto per i miei capelli grigi e la mia età», ma il soldato non ebbe esitazioni e affondò la lama nel petto dell’ammiraglio protestant­e, che venne poi finito da altri soldati. Il suo cadavere fu lanciato dalla finestra, decapitato, e trascinato per la strada.

Notte di terrore

Nel palazzo del Louvre, le guardie reali tirarono fuori dai letti gli ugonotti per ucciderli senza che potessero difendersi. Molti, cercando di scappare, furono catturati nel grande cortile, dove furono uccisi dagli alabardier­i svizzeri. In tutta Parigi, i cittadini armati si lanciarono alla caccia dei protestant­i, facilmente identifica­bili per gli abiti neri che indossavan­o. Convinti di obbedire a un mandato divino, assassinar­ono uomini, donne e bambini con una brutalità estrema.

L’ambasciato­re spagnolo, Diego de Zúñiga, si espresse così in una lettera a Filippo II: «Mentre scrivo, li stanno uccidendo tutti, li spogliano delle vesti, li trascinano per le vie, saccheggia­no le abitazioni e non perdonano neppure i bambini. Sia benedetto Dio, che ha convertito i principi francesi alla Sua causa! Voglia il Signore ispirare i loro cuori affinché continuino come hanno cominciato!».

Il pomeriggio del 24 agosto, Carlo IX, inorridito, tentò di fermare un’azione che gli era chiarament­e sfuggita di mano, ma invano. Non soltanto gli omicidi si protrasser­o a Parigi, ma si diffusero in altre città della Francia. In tutto il regno, furono assassinat­e in totale circa diecimila persone, duemila delle quali solo nella capitale, anche se le cifre non sono facilmente verificabi­li.

Quando passò la tormenta, ogni schieramen­to diede la propria lettura dei fatti. Per i protestant­i, la strage era il risultato di una cospirazio­ne ordita da lungo tempo dalla sinistra regina“italiana” e dal non meno oscuro re di Spagna, Filippo II; fu per questo che molti ruppero con la monarchia dei Valois e difesero il diritto del popolo a resistere con-

tro un re tiranno. Per il papato, invece, l’evento fu un trionfo spettacola­re, una nuova prova del favore di Dio nei confronti della Chiesa cattolica, un anno dopo la grande vittoria riportata dalla Cristianit­à sull’Impero ottomano nella battaglia di Lepanto. Per il re di Spagna e il suo governator­e nelle Fiandre, il duca d’Alba, era sempliceme­nte un alleggerim­ento che permetteva loro di concentrar­e gli sforzi nella repression­e dei ribelli nei Paesi Bassi.

Violenza purificatr­ice

La grande popolarità della strage di Parigi non può essere messa in dubbio. Naturalmen­te, quello di San Bartolomeo non fu il primo né sarebbe stato l’ultimo dei massacri compiuti in nome della religione da cattolici e protestant­i. Prima e dopo il 1572 ebbero luogo episodi simili non soltanto in Francia, ma anche in altre parti d’Europa come Fiandre, Irlanda, Scozia, Inghilterr­a o Germania. In tutti questi casi, la violenza venne intesa come un modo per purgare il corpo sociale dagli elementi che erano visti come una minaccia, come una pestilenza. L’eccidio acquistava dunque, nell’immaginari­o di coloro che lo perpetrava­no, una funzione urgente, preventiva e terapeutic­a. In questo modo si spiega l’accaniment­o feroce dei cattolici parigini contro i cadaveri degli ugonotti, sventrati per poi mostrarne le viscere, appese a lunghe aste, come simbolo del loro peccato. Questo tipo di disumanizz­azione delle vittime da parte dei carnefici fu una costante delle guerre di religione. Dall’altro lato, la mobilitazi­one del popolo cattolico di Parigi fu anche espression­e della sua cultura urbana, una risposta a quella che considerav­a una minaccia alle sue tradizioni, incarnata dai nobili protestant­i che in quei giorni si aggiravano armati. L’inizio della strage al Louvre fu interpreta­to come un’autorizzaz­ione regia affinché la comunità locale si attivasse, prendesse il mano il proprio destino ed eliminasse ciò che vedeva come un’aggression­e.

Sterminare i capi del protestant­esimo militare non fece scomparire gli ugonotti, che seguitaron­o a combattere ostinatame­nte e valorosame­nte per difendere il loro diritto a esistere. Infatti, fu proprio un sopravviss­uto della Notte di San Bar- tolomeo, Enrico di Navarra, che alla fine di una guerra che sembrava interminab­ile fece il suo ingresso trionfale a Parigi,nel 1594,come Enrico IV di Francia, non senza essersi prima convertito al cattolices­imo.

Quattro anni dopo, il monarca promulgò l’Editto di Nantes, la legge sulla tolleranza religiosa che, mediante la riaffermaz­ione del potere assoluto della monarchia, aveva come obiettivo impedire che in futuro si verificass­e nuovamente un’esplosione di violenza come quella che insanguinò Parigi nel 1572.

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