La Marsigliese, colonna sonora della Rivoluzione
Questa canzone di guerra fu composta nel 1792 per incitare le truppe francesi in conflitto contro l’Austria. Si trasformò poi nell’inno della Rivoluzione e, dal 1879, di Francia
Scritto come canto di guerra, adottato dai giacobini, è infine divenuto l’inno nazionale francese
Nella Francia del 1789, la metà degli uomini e più del settanta per cento delle donne non sapevano leggere. Perciò, uno dei mezzi più efficaci per diffondere le nuove idee rivoluzionarie furono le canzoni. Fra il 1789 e il 1800, gli specialisti hanno contato quasi 200 inni e più di 2000 canzoni popolari di contenuto politico. Mentre gli inni erano di solito commissionati dalle autorità per le cerimonie ufficiali (cori, canti funebri, odi), le canzoni avevano carattere popolare. Circolavano su volantini o negli opuscoli e negli almanacchi, venivano riprodotte sui periodici e infine raccolte nei canzonieri. Vi erano degli autori, gli chansonniers, che cantavano e vendevano le loro composizioni (o quelle di altri) nei punti più affollati di Parigi, come il Pont Neuf, il Palais Royal o gli Champs-Élysées. Ma molti altri si limitavano a pensare un testo che potesse essere cantato su una melodia già nota (di un’operetta, un vaudeville o una canzone folclorica). Questi paroliers erano quasi sempre anonimi.
I cittadini cantavano ovunque: nei teatri, nei caffè, nelle strade. I leader rivoluzionari riconoscevano l’utilità delle canzoni patriottiche. Nel 1793, un deputato di nome Dubouchet dichiarava: «Nulla è più adatto di inni e canzoni per accendere gli animi repubblicani». Nell’assemblea, un pubblico di entusiasti intonava canti che arrivavano al punto di interrompere le sessioni, provocando i reclami dei deputati, tra cui Danton. Fra le numerose canzoni politiche di questi anni alcune raggiunsero una grande popolarità,
come Ah! Ça ira, scritta nel 1790, La Carmagnole, del 1792, o il Canto della partenza. Ma fu La Marsigliese quella che finì per diventare il vessillo sonoro della Rivoluzione.
«Alle armi, cittadini!»
Tutto iniziò il 24 aprile del 1792 con una cena in casa del sindaco della città frontaliera di Strasburgo, il barone di Dietrich, che incaricò un ufficiale del genio militare e compositore per diletto, Claude-Joseph Rouget de Lisle, di comporre un nuovo inno militare, considerando che Ah! Ça ira non fosse adatta per questa funzione.
L’iniziativa non era di tipo personale. In quei giorni la Rivoluzione stava attraversando una fase drammatica. La crescente ostilità dei partiti contro Luigi XVI aveva allarmato le monarchie assolutiste europee, a tal punto che nell’agosto del 1791 l’imperatore Leopoldo II e il re di Prussia avevano lanciato un ultimatum all’Assemblea Nazionale: se non fossero stati rispettati i diritti di Luigi XVI sarebbero intervenuti militarmente. Fu l’inizio di una serie di dichiarazioni e mobilitazioni di truppe che sfociò inevi- tabilmente in una guerra. Il 20 aprile del 1792, l’Assemblea Nazionale approvò, praticamente all’unanimità, la dichiarazione di guerra all’Austria e richiamò tutti i francesi affinché si unissero all’esercito che avrebbe dovuto affrontare l’invasore.
Il sindaco di Strasburgo, commissionando l’inno quattro giorni dopo la dichiarazione di guerra, desiderava sostenere il morale dei volontari che sarebbero andati a formare il nuovo esercito. Da qui appunto il nome iniziale dell’inno composto da Rouget de Lisle, Canto di guerra per l’armata del Reno, che riprendeva il richiamo: «Alle armi, cittadini!» dei bandi affissi ai muri della città che obbligavano all’arruolamento i maschi adulti. Tutto il testo della canzone fa riferimento a questo drammatico periodo. Già dalla prima strofa (Allons, enfants de la Patrie), i francesi sono chiamati a lottare contro gli invasori, «i feroci soldati» che vengono «per sgozzare
L’inno La Marsigliese chiama i cittadini francesi a combattere contro l’invasore straniero
PARTITURA DE LAMARSIGLIESE. MUSEO CARNAVALET, PARIGI.
i nostri figli e i nostri compagni». Le strofe seguenti ripropongono la stessa immagine: «Che vuole quest’orda di schiavi, / di traditori, di re congiurati?/ Siamo noi che osano pensare / di ridurre all’antica schiavitù! [...] Queste corti straniere / detterebbero legge a casa nostra! / Queste falangi mercenarie / abbatterebbero i nostri fieri guerrieri! [...] Ignobili despoti diventerebbero / i padroni del nostro destino!». La melodia preannuncia un futuro funesto, paventando l’avvento di un’epoca terribile se non sarà contrastata dalla chiamata alle armi invocata dal coro: «Alle armi, cittadini! / Formate i vostri battaglioni! / Andiamo! Andiamo! Che un sangue impuro / bagni i nostri campi!», alludendo al sangue del nemico che avrebbe intriso il suolo della nazione quando l’esercito francese lo avesse sconfitto. Nonostante la sua durezza, vi è un istante di compassione per i soldati nemici – «risparmiate queste tristi vittime, / che malvolentieri si armano contro di noi» –, un’indulgenza che è invece negata ai «despoti sanguinari» che «lacerano il seno della loro madre». La conclusione è una chiamata a oltranza alla lotta: «Quando i nostri padri non ci saranno più […] Molto meno gelosi di sopravvivere loro / che di dividere la loro bara, / noi avremo il sublime orgoglio / di vendicarli o di seguirli».
Inno nazionale di Francia
L’inno di Rouget de Lisle ebbe un successo folgorante. Le sue note vibranti e il testo pugnace si diffusero fra i soldati che marciavano lungo la frontiera e, attraverso di loro, nelle città e nei villaggi. Inevitabilmente, l’inno raggiunse la capitale. Nel giugno 1792, i
partiti rivoluzionari decisero di riunire a Parigi una forza armata di 20.000 uomini per difendere la capitale in caso di invasione straniera, quelli che venivano chiamati“federati”, che avrebbero dovuto essere pronti per il 14 luglio, festa della rivoluzione.
Un deputato di nome Barbaroux scrisse alle autorità della sua città natale, Marsiglia, affinché inviassero 600 uomini. Provvisti di una copia stampata del canto di Rouget de Lisle, i marsigliesi, nel corso del loro viaggio verso Parigi, che durò dal 3 al 29 luglio, andarono cantando l’inno in ogni villaggio che attraversavano. Una gazzetta dell’epoca racconta: «cantano l’inno con grande forza, e il momento in cui agitano i loro cappelli e le loro spade, gridando tutti insieme “Alle armi, cittadini!”, è davvero emozionante. Dicono di aver sentito questo inno di guerra in tutti i villaggi che hanno attraversato, e questi nuovi bardi hanno ispirato così sul campo sentimenti civili e militari». I marsigliesi si fermarono a Parigi, e non cessarono di cantare l’inno. «Lo cantano nel PalaisRoyal, e a volte durante gli spettacoli fra due opere». Fu allora che i parigini scoprirono questa canzone, che iniziarono a chiamare Inno dei marsigliesi, e poi, semplicemente, La Marsigliese.
L’inno accompagnò le truppe per tutta la Rivoluzione. Nel settembre del 1792, durante la battaglia di Valmy, la prima grande vittoria degli eserciti rivoluzionari, pare che il generale Kellerman abbia gridato: «Vive la Nation!» , e che i suoi uomini abbiano risposto intonando La Marsigliese. Per i soldati, questa canzone era una sorta di talismano. Un generale scrisse al suo ministro: «Ho vinto la battaglia, La Marsigliese combatteva al mio fianco», mentre un altro richiese un rinforzo di mille uomini e un’edizione della canzone per incoraggiare i suoi soldati.
La Marsigliese intraprese così il suo cammino per trasformarsi in inno nazionale di Francia, o, come venne designata il 14 luglio del 1795, «canzone nazionale». Il successo non fu immediato. Il carattere violentemente antimonarchico del testo fece sì che l’inno venisse vietato da Napoleone e durante la Restaurazione borbonica. Tornò brevemente con la Rivoluzione del 1830, per poi essere nuovamente vietato da Napoleone III. Dopo un successivo momento di gloria nei giorni della Comune di Parigi, come canzone simbolo degli insorti, nel 1879 la Terza Repubblica le conferì infine il titolo di“inno nazionale”di Francia.