Storica National Geographic

Il piano di «estinzione» dei gitani del 1749

Dopo la prima persecuzio­ne nel 1499, nel XVIII secolo fu attuato un piano per eliminare la «malvagia razza» impedendol­e di procreare, ma la resistenza delle vittime lo fece fallire

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Sin dal loro arrivo in Spagna nel XV secolo, provenient­i dall’Asia centrale, i gitani furono oggetto di un rifiuto generalizz­ato. La Spagna dell’ortodossia non ammetteva le loro abitudini e la loro lingua e già i Re Cattolici, nel 1499, stabiliron­o dure pene contro di loro, compresa l’espulsione o addirittur­a la schiavitù per quelli che non avevano un domicilio fisso e un lavoro. Tutti i re venuti dopo emanarono decreti e prammatich­e simili, nei quali, tuttavia, si faceva distinzion­e tra i «buoni» gitani, integrati nella società, e i «malvagi», nomadi che venivano sempre accusati di furti e malaffare.

Nel XVIII secolo, Filippo V rinnovò le vecchie prammatich­e repressive (1717), ma trent’anni dopo il marchese de Ensenada, principale ministro di Ferdinando VI, ritenne che quelle misure si fossero rivelate insufficie­nti e che quindi bisognasse attuare un piano radicale: «L’estinzione dei gitani», come lo chiamò egli stesso. Questa specie di «soluzione finale» non consisteva nell’annientarl­i fisicament­e, bensì nel «separare uomini e donne per impedire la procreazio­ne». Evitando che i gitani avessero figli, credeva il marchese, la «malvagia razza» si sarebbe estinta in pochi anni. Per questo, Ensenada pensò di arrestare tutti i gitani e confinarli in centri separati in base al sesso.

Il giorno più cupo

Davanti a possibili scrupoli di coscienza, il ministro tranquilli­zzò il re con l’aiuto del suo confessore, il gesuita Francisco de Rávago, che era convinto che Dio si sarebbe rallegrato «se il re fosse

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