Spionaggio e codici segreti nell’antichità
Già a metà del I millennio a.C. si svilupparono metodi ingegnosi per codificare e trasmettere messaggi in sicurezza
Narra lo storico Erodoto di Alicarnasso che nell’anno 499 a.C., mentre le città ioniche preparavano una grande ribellione contro il dominio persiano, Istieo di Mileto si trovava alla corte del re Dario I, e non aveva modo di mettersi in contatto con il suo compatriota e tiranno della città Aristagora per comunicargli che era il momento di dare il via alla sollevazione. Alla fine ebbe un’idea: fece rasare la testa al suo schiavo più fedele e gli tatuò sul cuoio capelluto il messaggio che desiderava trasmettere, poi aspettò che i capelli ricrescessero, in modo da nascondere il messaggio. Dopo di che, inviò lo schiavo a Mileto, dove gli rasarono nuovamente la testa e poterono leggere il messaggio. Il procedimento era molto ingegnoso, perché neppure il latore del messaggio ne conosceva il contenuto e pertanto non avrebbe potuto rivelarlo neanche se fosse stato sottoposto a interrogatorio o tortura.
È un esempio che dimostra che già nell’antichità si avvertiva l’esigenza di stratagemmi per trasmettere informazioni in sicurezza. Naturalmente, il metodo preferito era la comunicazione orale, ma quando questa possibilità era fuori discussione – per esempio, perché non si potevano attraversare le linee nemiche o non c’erano messaggeri affidabili – o bisognava trasmettere un messaggio molto preciso, si ricorreva alle comunicazioni scritte. Per evitare che il nemico le scoprisse si utilizzavano metodi di steganografia o “scrittura occulta”(come nell’esempio di Istieo), oppure sistemi di crittografia mediante chiavi o codici segreti.
Enea Tattico, autore greco del IV secolo a.C., dedicò un capitolo completo del suo trattato di tecniche militari d’assedio, i Poliorketika, ai procedimenti di trasmissione di informazioni segrete. Enea Tattico proponeva diversi metodi steganografici: scrivere il messaggio su foglie legate come ri- medio medicinale a una ferita; gonfiare una vescica e scrivervi sopra, in modo che, sgonfiandola, il messaggio non si vedesse e rigonfiandola si potesse recuperare l’informazione; scrivere i messaggi su sottili lamine di piombo che poi venivano arrotolate e indossate dalle donne come se fossero orecchini.
Suggeriva anche di inviare un messaggero con un’informazione irrilevante e, la notte prima che partisse, introdurgli di nascosto il vero messaggio nella suola dei sandali, o di usare animali, come un cane nel cui collare si cuciva il messaggio, e che, liberato, sarebbe tornato dal suo padrone con la