GIORNI DI VINO E POESIA
Bottiglia smaltata del XVII secolo. Sa’eb di Tabriz, un poeta di Isfahan del XVII secolo, scriveva: «Altri si danno al bere in pieno giorno; a noi, anche nelle notti di luna, manca il vino». Victoria and Albert Museum, Londra.
Al di fuori della piazza Naqsh-e jahan, a nord-est del bazar, si apriva per il viaggiatore un dedalo di vie, con un grande numero di moschee, chiese cristiane e sinagoghe, queste ultime con l’hejal, la nicchia nella parete, equivalente del mihrab islamico, orientata verso Gerusalemme. Vicino al bazar, il viaggiatore poteva entrare in uno dei famosi caffè persiani, dove oltre al caffè si servivano vino e sorbetti, oppure poteva recarsi in uno dei 263 bagni (hammam) della Isfahan nel XVII secolo, o farsi sedurre dalle cortigiane della città, numerose nei quartieri orientali. Se era fortunato, riceveva un invito per uno dei banchetti di corte, dei quali i viaggiatori europei lasciarono descrizioni estasiate.
Prendendo la via del ritorno, il nostro visitatore poteva infine dedicarsi alla contemplazione del tramonto dal ponte Si-o-se Pol, le cui ogive, dall’imbrunire, erano illuminate con luci di diversa intensità ed erano meta delle passeggiate delle coppie di innamorati. E di fronte a questo spettacolo poteva forse soffermarsi a meditare sul significato dei numeri associati ai monumenti e ai luoghi che aveva visitato: i quattro giardini del viale Chahar bagh, gli otto paradisi del palazzo Hasht Behesht, le trentatré ogive del ponte Si-o-se Pol, le quaranta colonne del palazzo Chehel Sotoun... tutti simboli dell’indecifrabile segreto della città che era la metà del mondo.