LA BATTAGLIA DI ALALIA
La presenza dei greci di Focea in Sardegna accelerò lo scontro con gli etruschi, alleati dei cartaginesi. Si imposero i greci, ma le perdite nella battaglia navale di Alalia furono tali da costringerli ad abbandonare l’isola
Gli abitanti di Focea, una città greca sulle coste dell’Anatolia, avevano iniziato i viaggi marittimi di lunga distanza già alla fine del VII secolo a.C. A bordo delle loro agili navi, raggiunsero Tartesso, nel sud-ovest della penisola iberica. Lì furono accolti dal re Argantonio, che sarebbe presto divenuto un esempio di sovrano buono, amico dei greci e disposto a renderli partecipi delle sue immense ricchezze.
I focei utilizzavano delle imbarcazioni veloci, le pentecontere, che ospitavano a bordo una cinquantina di rematori più qualche altro marinaio. Queste navi dovevano attraccare quasi ogni giorno alla costa per rifornirsi e permettere all’equipaggio di riposare. Ciò permise ai focei di visitare e frequentare centinaia di località situate tra la loro città d’origine e la costa atlantica della penisola iberica. In alcune di esse si stabilirono in modo permanente, fondando vere e proprie città. È questo il caso di Massalia (l’attuale Marsiglia). Altre rimasero soltanto enclave commerciali, ubicate in luoghi strategici a contatto con le popolazioni locali. Tra queste vanno ricordate Emporion (l’odierna Empúries, nel Nord della Catalogna), e Alalia (oggi Aleria), sulla costa orientale della Corsica.
Alalia godeva di una posizione privilegiata: si trovava infatti in un punto chiave per le comunicazioni con la Sardegna, con il golfo del Leone [l’insenatura tra i Pirenei e l’attuale Tolone], la strategica isola d’Elba e le coste siciliane e nordafricane. Inoltre, da Alalia si potevano raggiungere senza troppe difficoltà i porti delle grandi città etrusche che si trovavano lungo la costa italica. Era praticamente di fronte a Pyrgi, il porto principale della grande Agylla (o Caere, l’attuale Cerveteri). Ma la causa che condusse alla famosa battaglia va rintracciata molto lontano da qui: nella stessa Focea, patria d’origine di questa popolazione greca.
La grande migrazione
Attorno al 545 a.C, il re persiano Ciro II il Grande, dopo aver sconfitto il potente Creso, sovrano della Lidia, si preparava a conquistare le città greche dell’Anatolia. I focei, nonostante la loro patria fosse protetta da una solida muraglia, costruita decenni prima con l’aiuto del re Argantonio, scelsero di abbandonare la città in massa – uomini, donne, bambini e anziani – imbarcandosi sulle navi e portandosi via i propri averi e le statue degli dei.
Il loro piano originale era quello di trasferirsi alle isole Enusse, vicino a Chio. Ma giunti lì, scoprirono che i Chioti non erano intenzionati a cedergliele e così fecero ritorno alla loro città d’origine. L’unica via d’uscita pareva stabilirsi in una delle colonie da loro stessi fondate. Al momento della partenza, però, quasi la metà della popolazione preferì restare in patria.
Coloro che scelsero la fuga s’imbarcarono sulle pentecontere e su altri navi ausiliarie e
In Corsica, i focei divennero i rivali commerciali degli etruschi
fecero rotta verso la Corsica. È difficile sapere con certezza quali furono le dimensioni di questo esodo. Nella battaglia di Alalia, i focei avevano sessanta pentecontere, il che significa almeno 3.000 rematori. A partire da tale cifra, si può stimare che i migranti fossero tra i 9.000 e i 12.000, se consideriamo un rapporto di tre o quattro civili per ogni guerriero.
Le risorse della zona di Alalia non erano sufficienti per accogliere un tale afflusso di profughi. Per questo motivo, e dato che disponevano di una flotta numerosa, i focei iniziarono a dedicarsi a un’attività che conoscevano piuttosto bene: la pirateria. Questa era a quel tempo un fenomeno endemico nel Mediterraneo, a cui si poteva cercare di porre un freno solo con un insieme di misure diplomatiche e d’azioni di forza. Ma l’improvviso arrivo di un gran numero di individui provenienti da lontano, che non rispettavano quell’equilibrio che si era quasi raggiunto nel Mediter
raneo centrale, provocò enormi tensioni. Le flotte focee attaccavano infatti le località costiere, saccheggiando le popolazioni indifese. Oppure, attendevano i mercanti nei punti di passaggio obbligato, rubavano i carichi e sequestravano gli equipaggi delle imbarcazioni, per poi arricchirsi con la successiva vendita.
Stanchi dei pirati
La reazione delle principali vittime della pirateria focea si fece attendere cinque anni. Dopo questo lasso di tempo nacque un’alleanza guidata da Cartagine – antica colonia fenicia sulle coste africane – e dall’etrusca Caere, le città più colpite dai continui saccheggi dei focei, nonché le più potenti. Lo scontro tra le due fazioni, che ebbe luogo nei pressi delle coste còrse, fu scatenato dall’attacco cartaginese ed etrusco contro la città greca.
Quanto alle forze in campo, i focei potevano contare, come già ricordato, su sessanta pentecontere. I loro avversari, invece, disponevano di centoventi navi: sessanta erano di Cartagine e altrettante di Caere. Di queste flotte facevano parte imbarcazioni di
Dopo l’insediamento ad Alalia, i focei si dedicarono alla pirateria
altre città fenicie ed etrusche che avevano risposto all’appello delle due sorelle maggiori. Tuttavia, grazie alle loro straordinarie abilità marinare, i focei avevano sviluppato nuove tecniche di combattimento navale che li rendevano molto superiori a qualsiasi possibile rivale.
Rompere la linea del nemico
Fino ad allora, i combattimenti navali erano per lo più degli scontri statici: si cercava di abbordare l’imbarcazione avversaria con una o più navi per poi far intervenire la fanteria, come se la battaglia avvenisse in terra ferma. Per quanto si potesse rallentare l’avanzata del nemico con lance, frecce e fionde, generalmente l’esito del combattimento era determinato dalla superiorità numerica di uno dei contendenti. È abbastanza chiaro che le forze etrusco-cartaginesi puntavano su questa stra- tegia, dato che disponevano del doppio dei vascelli rispetto ai focei.
Tuttavia i focei riuscirono a sorprendere gli avversari ricorrendo a una nuova tattica, in seguito nota come diekplous. Questa strategia consisteva nel lanciare la nave a gran velocità tra le imbarcazioni nemiche, approfittando dell’occasione per attaccarle con proiettili di ogni tipo. Una volta superate le file dei rivali, la pentecontera eseguiva una virata di centottanta gradi, si dirigeva contro la poppa o le fiancate dei vascelli avversari, e li urtava con il rostro metallico [specie di sperone] del quale era provvista.
L’esecuzione di questa manovra esigeva grande disciplina e una perfetta coordinazione tra i rematori, frutto di prove ripetute. Al capitano di ogni pentecontera era richiesta anche una gran capacità di previsione, perché doveva scegliere quale imbarcazione nemica attaccare per prima, per mettere fuori gioco le più pericolose.
Una volta neutralizzata una nave avversaria, l’obiettivo del vincitore era quello di dirigersi immediatamente verso un’altra. In
I focei supplirono all’inferiorità numerica navale con una nuova tattica di combattimento
questo modo era possibile riequilibrare a poco a poco l’inferiorità numerica iniziale.
Lo scontro navale si concluse col successo foceo. Erodoto, però, precisa che si trattò di una“vittoria cadmea”, espressione che equivale alla nostra “vittoria di Pirro”, perché fu ottenuta a un prezzo così elevato da sembrare una sconfitta. Non si conoscono i dettagli delle perdite etrusco-cartaginesi, ma i focei ne uscirono in condizioni tali da non potersi permettere immediatamente un nuovo scontro. Quaranta delle loro navi erano state distrutte e le venti restanti avevano i rostri fuori uso. Questo è il principale indizio che ci permette di ricostruire che la battaglia si svolse nel modo descritto.
Il secondo esodo
I focei non potevano assolutamente correre il rischio di subire un nuovo attacco. Per questo, decisero di abbandonare la Corsica a bordo delle proprie navi. Forse alcuni di loro raggiunsero località come Marsiglia o la Sicilia. Altri, invece, si diressero verso lo stretto di Messina. Qui vennero a sapere che potevano stabilirsi in un punto della costa italica dove avrebbero fondato Elea, poi denominata Velia in epoca romana.
Tuttavia, non tutti ebbero questa fortuna. I focei caduti prigionieri vennero spartiti tra gli avversari. Di quelli che finirono a Cartagine non sappiamo nulla, ma conosciamo invece il destino della maggior parte dei focei, che fu condotta a Caere. Nel corso di una cerimonia pubblica di riparazione, furono radunati al di fuori [delle mura] della città, dove vennero lapidati a morte. In seguito a questo episodio [sacrilego, secondo quanto riferisce Erodoto] chiunque passasse accanto al luogo dove erano stati uccisi i focei, che fosse uomo o animale, veniva colpito da una malattia che lo lasciava disabile. Gli abitanti di Caere, dopo aver consultato l’oracolo di Delfi, accettarono di onorare la memoria dei morti con delle gare di atletica, per mettere fine alla pestilenza.
In ogni caso, la conseguenza principale di questo scontro fu l’esclusione, almeno temporanea, dei greci dal controllo delle rotte commerciali del Mediterraneo centrale. A ciò si aggiunse il consolidamento dell’alleanza tra Cartagine e Caere e l’insediamento degli etruschi ad Alalia.
La battaglia accentuò inoltre la tendenza degli stati verso un controllo sempre maggiore delle attività commerciali. Lungi dal garantire la pace, questo provocò nei decenni successivi nuove guerre tra greci, etruschi e cartaginesi finché, verso il 474 a.C., i greci di Siracusa non spezzarono il potere navale etrusco nella battaglia di Cuma.