Spagnoli e inglesi alla ricerca della città dell’oro
EREDE DEI TERRITORI di Jiménez de Quesada, Antonio Berrío diresse tra il 1584 e il 1590 tre spedizioni lungo l’Orinoco, spinto dai racconti di precedenti esploratori perduti nelle foreste. Uno fu Martín de Albújar, che descrisse una città mitica, Manoa, come un luogo scintillante di tetti d’oro. Le lettere che Antonio de Berrío indirizzò al re di Spagna furono rubate e finirono nelle mani di Walter Raleigh, che organizzò una spedizione in Guayana alla ricerca dell’El Dorado. Raleigh, il principale iniziatore dell’espansione coloniale britannica, catturò Berrío e si impossessò della città di Santo Tomé. Nel 1596 pubblicò La scoperta dell’Impero di Guayana, con una relazione della città dorata di Manoa, che gli spagnoli chiamano El Dorado, che rivestì una grande importanza ai fini della diffusione del mito "doradista", mito che fa quindi coincidere El Dorado con la città di Manoa e il lago Parime. di Quesada, Belalcázar e Federmann si succedettero le esplorazioni alla ricerca dell’El Dorado. Nel 1540, il tedesco Filippo di Hutten partì dal Venezuela per una spedizione che sarebbe durata cinque anni. Quello stesso anno, Hernán Pérez de Quesada, fratello di Gonzalo, partì da Bogotà con l’obiettivo di perlustrare il sud dell’attuale Colombia. Nel 1541 fu Gonzalo Pizarro a partire da Quito alla ricerca del Paese della Cannella (un’altra terra mitica apparentemente piena di spezie) e dell’El Dorado. Francisco de Orellana si staccò da questa spedizione e riuscì a ottenere notizie in merito al misterioso regno delle amazzoni, nascosto nella fore- sta e ricco di vasellame, icone e corone d’oro. Alcuni anni dopo il passaggio di Orellana su quel fiume, si verificò una massiccia migrazione di indiani dal Brasile al Perù. Questi, al loro arrivo, riferirono delle ricchezze del popolo amazzonico degli omagua. In tal modo, la leggenda dell’El Dorado fu riportata in vita, e nel 1560 il vicerè peruviano affidò a Pedro de Ursúa una nuova spedizione, forse la più tragica e celebre di quelle che si lanciarono alla ricerca del paese dell’oro a causa del ruolo rivestito da Lope de Aguirre, che uccise Ursúa e si ribellò al re Filippo II. Jiménez de Quesada trascorse dodici anni in Spagna difendendosi dalle accuse di furto e della morte dello zipa. Riuscì infine a farsi assolvere da tutte le accuse e tornò nel 1550 nel Nuovo Regno di Granada come governatore e maresciallo. Tuttavia i suoi beni non saldavano i debiti e pertanto organizzò una nuova spedizione alla ricerca della terra dell’oro, arrivando a indebitarsi ancora di più.
La fine di un vecchio esploratore
Nel 1569 Quesada riunì 300 soldati e più di mille indiani, «con altrettante donne spagnole e meticce», e partì alla volta dell’El Dorado. Trascorsi due anni senza neanche l’ombra dell’oro, fece ritorno con appena 64 sopravvissuti. Nonostante ciò, riuscì a pacificare il popolo del Gualì e a nominare Alonso de Olalla comandante di una nuova spedizione, a cui sapeva che non avrebbe preso parte. Morì a 73 anni, senza figli e senza l’El Dorado. Alla sua morte, nel 1579, tali avventure sembravano ormai una chimera. Quando dichiararono il suo decesso, gli esperti avvertirono il re che quelle spedizioni non servivano a niente. Consideravano infatti che Jiménez fosse una di quelle persone «spinte dalla sola ambizione» o talmente tormentate dai debiti «che detestano così tanto la vita che preferiscono mandarla in frantumi». E forse era stato lui stesso a dargli ragione quando, nel 1578 scrisse che non potendo pagare i suoi creditori, non sapeva che altro fare se non lasciarsi morire. Dopo aver conquistato il territorio della confederazione muisca e aver scoperto la maggior parte del corso del Magdalena, Jiménez non era nulla più che un sogno esotico.