FLAMEL, L’ALCHIMISTA
Lo scrivano parigino Nicolas Flamel (13301418) dichiarò di aver trovato la pietra filosofale, che avrebbe utilizzato per ottenere oro e diventare ricco. prima guida audiovisiva sull’alchimia, Atalanta fugiens, un originale libro di emblemi realizzato dal medico tedesco Michael Maier, presunto membro della società segreta dei Rosacroce.
Invece di mostrarci passo dopo passo quello che faceva un alchimista nel suo laboratorio, tutti questi complicati trattati alchemici sono prodighi di espressioni enigmatiche – “leone verde”, “mercurio dei filosofi”, “testa di corvo”,“colombe di Diana”,“acqua divina”, “spirito universale” – e sono spesso illustrati con immagini simboliche attraenti e allo stesso tempo oscure. Tuttavia, da questi testi possono essere dedotte alcune idee comuni circa i concetti teorici e le linee generali del lavoro degli alchimisti.
L’idea di base era che il lavoro dell’alchimista assomigliava a quello della creazione. Si partiva da una sostanza di origine minerale che rappresentava la materia informe, il caos iniziale, che veniva sottoposta a una serie di trattamenti con l’obiettivo di darle vita e di purificarla progressivamente. Secondo i testi alchemici, nel corso di questo processo la materia cambiava sia il colore che l’aspetto. Si ripeteva sempre la stessa sequenza cromatica: il colore nero del materiale trattato si trasformava in bianco, poi in un giallo intermedio e infine in un rosso brillante. Allo stesso tempo la materia adottava forme e qualità biologiche; sembrava crescere e gonfiarsi, come se fermentasse. La sostanza risultante alla fine del processo era, come veniva descritta nei testi, una materia molto pura, di un colore rosso o aranciato, con un aspetto cristallino e molto denso. Era la pietra filosofale, che concentrava in sé l’energia vitale del cosmo e che, secondo la tradizione alchemica, era in grado di trasmutare qualsiasi metallo in oro.
La trasmutazione dei metalli
Nel periodo d’oro dell’alchimia, e anche per buona parte del XVIII secolo, molti credevano nell’efficacia di questi processi alchemici. In effetti, uno degli aspetti più sorprendenti della storia dell’alchimia è il gran numero di testimonianze di trasformazioni di metalli, come il mercurio e il piombo, in oro e argento. Un libro del 1784 raccoglie un totale di 112 casi. Il modus operandi era sempre lo stesso. Il metallo vile che si desiderava trasformare doveva essere fuso in un crogiolo. Al suo interno veniva gettato un piccolo frammento di pietra filosofale avvolto in carta o cera e, in un breve lasso di tempo, il metallo diventava oro purissimo. Numerose trasmutazioni avvennero in presenza di testimoni qualificati, come lo scienziato britannico Robert Boyle. Un caso molto pubblicizzato all’epoca fu quello del medico Helvétius, che nel 1667 ricevette da uno sconosciuto una polvere del colore dello zolfo in grado di «trasmutare quarantamila libbre di piombo in oro».
A dispetto dell’impossibilità di fenomeni come questi in base alle attuali conoscenze scientifiche, da un punto di vista strettamente storico tutte queste notizie contribuirono a mantenere vivo l’interesse per l’alchimia in un periodo in cui i circoli accademici ed eruditi iniziavano ad allontanarsi da essa.
Inoltre va ricordato che la pietra filosofale non si limitava soltanto a convertire i me-