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Sotto, un kit di primo soccorso della spedizione di Amundsen da usare in caso di incidenti. ghiaccio che, secondo i suoi avversari, poteva staccarsi da un momento all’altro. Ma questo gli diede un vantaggio di 100 chilometri – una distanza da non sottovalutare se si considera che il percorso totale fino al polo era di circa 1.400 chilometri.
Una volta in Antartide, in piena estate australe, inglesi e norvegesi montarono le proprie basi (rispettivamente, la Scott’s Hut e la Framheim) e si addentrarono in quel deserto di ghiaccio per costruire depositi di viveri e combustibile. Questi avrebbero garantito l’approvvigionamento durante la grande marcia della primavera successiva, che nell’emisfero sud va da settembre a dicembre.
Quel primo battesimo della neve mise in evidenza i vantaggi del sistema di trasporto norvegese, le cui slitte erano trainate da cani, ben più adatti all’ambiente polare rispetto ai cavalli siberiani scelti da Scott. Questo ebbe ripercussioni sulla quantità di provviste che gli uni e gli altri poterono trasportare. Così, mentre i britannici installavano un grande deposito di provviste da una tonnellata a 79º 30’ di latitudine sud, i norvegesi montavano tre depositi, per un totale di quasi il triplo di provviste. L’ultimo di questi era situato sul parallelo 82 sud, quasi 300 chilometri più vicino al polo rispetto a quello degli avversari. Quando tutto fu pronto e si concluse l’estate antartica, verso la fine di marzo, le due squadre si chiusero nei rispettivi rifugi in attesa delle condizioni meteorologiche propizie, che si sarebbero ripresentate solo sei mesi più tardi.
La lunga notte invernale, con temperature medie di 20 gradi sotto zero e minime inferiori ai 40, trascorse con snervante lentezza per entrambi i gruppi. Tutti attendevano il ritorno del sole per iniziare la marcia che li avrebbe lanciati nella storia o condannati all’oblio della sconfitta. La vittoria avrebbe portato fama e gloria al leader del gruppo vincitore, ma anche riconoscimento sociale e un vitalizio al resto dei membri.
Comincia la corsa
Il 19 ottobre Amundsen, non potendo sopportare oltre la tensione dell’attesa, decise di mettersi in marcia con cinque uomini e quattro slitte, ognuna trainata da 13 cani. Come se avesse sentito lo stesso segnale di avvio, solamente cinque giorni più tardi Scott fece partire l’avanguardia della sua squadra: quattro uomini e due slitte a motore che trasportavano tre tonnellate di materiali e di alimenti. Altri 12 uomini e 10 cavalli del gruppo principale, con Scott in testa, iniziarono a muoversi il primo novembre.
Nei giorni seguenti le due comitive avanzarono su una superficie bianca e desolata, priva di qualsiasi elemento che potesse favorire l’orientamento: in tutte le direzioni si estendeva la stessa pianura innevata. I norvegesi, grazie agli sci, seguivano l’andatura dei cani, che procedevano rapidamente in quello che era il loro elemento naturale. Amundsen, prudente, sapendo che aveva davanti una gara di resistenza, non faceva più di 27 chilometri al giorno – distanza che considerava sufficiente per raggiungere il suo obiettivo prima dei suoi avversari. Alla fine di ogni giornata, uomini e cani non sembravano accusare la minima stanchezza.
Dal lato britannico, invece, la situazione non era così rosea. I motori delle slitte si erano rotti già prima della partenza di Scott, e i