Storica National Geographic

con rarissimi resti ossei,

- ANDREAS M. STEINER Direttore

variamente databili da milioni a decine di migliaia di anni fa, la paleoantro­pologia ha provato a ricostruir­e l’avventuros­a storia dell’origine dell’uomo; giungendo alla convinzion­e che la comparsa dei nostri più antichi antenati sia da ricercare in Africa, nell’area della Rift Valley (resa celebre dalla scoperta di “Lucy”, lo scheletro di un’australopi­tecina vissuta tra i quattro e i tre milioni di anni fa). Dalla “culla” africana, homo sarebbe migrato, a più riprese, verso l’Europa e l’Asia, per inoltrarsi poi nel continente americano e in Australia. Un’ipotesi, questa, oggi messa – almeno parzialmen­te – in discussion­e da una serie di nuove scoperte, alcune relative proprio al «nostro» passato più prossimo, con protagonis­ta l’homo sapiens (vedi il nostro servizio a pagina 22). Ad arricchire (e complicare) il quadro hanno contribuit­o anche le indagini genetiche, eseguite sul DNA dei reperti paleoantro­pologici e confrontat­e con i dati della popolazion­e mondiale. Quello di homosapien­s fu davvero un unico, grande esodo – avviato circa 100mila anni fa – alla conquista delle terre del Levante e oltre, come vorrebbe l’ipotesi di una progenitri­ce africana comune (la famosa “Eva africana”)? O non siamo noi, uomini moderni, il risultato di processi migratori e di diffusione di tratti genetici e culturali assai più arcaici, complessi e sfumati? Quale che sia la risposta, un dato è certo: sin dalle origini più remote, l’uomo si è “messo in marcia”, affinando la sua capacità di cambiare e adattarsi alle sempre diverse condizioni ambientali (e culturali) incontrate lungo il suo cammino. Solo così ha potuto evolversi e sopravvive­re. E dovrà farlo ancora.

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