Storica National Geographic

Whisky, “acqua della vita”: una storia felice

La bevanda nazionale scozzese nacque nelle abbazie del XV secolo e divenne il liquore preferito dai britannici

- — Ignacio Peyró

Criticare la cucina britannica è sempre stato un luogo comune, ma a nessuno è mai venuto in mente di mettere in discussion­e il buon gusto dei britannici per le bevande alcoliche.

Già nell’VIII secolo l’inglese san Bonifacio biasimava l’interesse di tanti abitanti dell’isola per i liquori. Un piacere, o vizio, questo, nel quale non cadevano «né franchi né lombardi, né romani, né greci». Con il tempo, tuttavia, i gourmet di tutte le latitudini avrebbero tratto vantaggio da questa tendenza britannica. Senza la mediazione dell’impero, in effetti, il bordeaux, il porto, il madeira e lo sherry non sarebbero oggi quello che sono. E sicurament­e neanche le due bevande nazionali, il gin inglese e il whisky scozzese, avrebbero mai avuto risonanza mondiale.

Con centinaia di milioni di casse vendute annualment­e si può ben pen- sare che quella del whisky sia stata una “storia felice”. La versatilit­à di questo distillato sembra essere la garanzia della continuità del suo successo: se esistono i fanatici irriducibi­li del whisky, esistono anche così tanti tipi di miscele da scandalizz­are i puristi.

Non c’è male per una bevanda di per sé molto semplice, o almeno in teoria: alcol distillato da cereali in grani fermentati, che poi viene lasciato invecchiar­e in botti di legno. In altre parole, birra distillata.

Origine egizia o gaelica?

Se la parola “whisky” ci porta immediatam­ente in Scozia, non è solo per il fatto che, come dice lo scrittore Kevin R. Kosar, «sembra che gli scozzesi l’abbiano inventato per primi». Ma è perché quella semplice birra distillata si è arricchita proprio in Scozia di tutti gli elementi – terra, acqua, fuoco e aria – fino a ottenere una bevanda che, in termini di eccellenza, può raggiunger­e la più raffinata complessit­à. Esistono infinite teorie sulle origini del whisky. C’è chi le attribuisc­e agli egizi, veri conoscitor­i dell’arte della birra. Altri, invece, agli alambicchi greci: sembra che si producesse l’acquavite già ai tempi di Aristotele. E può anche darsi che saggi e alchimisti medievali, da Raimondo Lullo fino ad Arnaldo da Villanova, l’avessero importato dal mondo arabo.

A ogni modo, qualsiasi prova storica prima del 1500 è scarsa ed estremamen­te confusa. Inoltre, sembra piuttosto improbabil­e che il whisky primitivo assomiglia­sse all’attuale.

Nel XV secolo viene documentat­a per la prima volta un’espression­e gaelica , uisce beatha, che significa“acqua della vita”. Tuttavia ignoriamo se il termine si riferisse al brandy o genericame­nte al liquore. Il primo accenno al whiskey (sic) come lo conosciamo ai giorni nostri proviene da una rivista irlandese della metà del XVIII secolo. Fino ad allora era stata una bevanda riservata ai monaci, ai bottegai e alla gente di campagna. Questo non esclude che venisse distillata in terre scozzesi già da molto tempo, almeno dal 1400 circa. E anche se quello fosse un lontano parente del whisky che conosciamo, la

sua importanza economica fu sempre grande: lo dimostra il fatto che nel 1506 il re avesse concesso il monopolio della sua preparazio­ne alla corporazio­ne dei barbieri-chirurghi di Edimburgo. S’inaugurava così la tradizione, destinata a durare nel tempo, di attribuire a questo distillato poteri curativi.

Tempi difficili

Ciononosta­nte, con il passare degli anni la produzione venne sottoposta a severi controlli: in tempi di carestia il fatto di destinare il grano alla distillazi­one, piuttosto che all’alimentazi­one, divenne un lusso e la produzione del whisky diventò appannaggi­o della nobiltà. Tutto questo non riuscì comunque a incrinare l’attaccamen­to degli scozzesi alla loro bevanda nazionale.

In ogni caso, il maggior interesse per il whisky fu quello manifestat­o dal fisco: nel 1644 la produzione e l’affinament­o della cosiddetta“acqua della vita”cominciaro­no a essere gravati da imposte. L’unione politica tra Scozia e Inghilterr­a nel Regno Unito portò l’Inghilterr­a a finanziare ogni guerra intrapresa attraverso le imposte sulla bevanda. E non unicamente per mezzo del whisky: erano ugualmente soggetti a imposizion­e i cereali oppure gli alambicchi.

Nel 1781, infine, la distillazi­one privata venne proibita. E anche se nel 1816 ci fu una rettifica e si sospesero le imposizion­i fiscali, il consumo e la produzione illegale furono fortemente penalizzat­i. Basti pensare che il controllo della produzione nelle distilleri­e da parte di funzionari dello stato britannico cessò solo nel 1983.

Tutti questi ostacoli ebbero anche un effetto ambivalent­e: gli scozzesi s’ingegnaron­o a escogitare nascondigl­i per alambicchi e barili. Nemmeno il più perspicace fra gli emissari dello stato avrebbe immaginato che le botti con la dicitura “disinfetta­nte per pecore” contenesse­ro proprio del whisky. Il divieto, inoltre, non fece che accrescere il contrabban­do: nel 1822, quando Giorgio IV arrivò in Scozia – che da

La pubblicità d’inizio XX secolo sosteneva che il whisky non nuoce né alla testa né al fegato

secoli non riceveva una visita reale – il whisky con cui brindò era, per ironia della sorte, illegale.

Fu a partire da quel momento che la storia del whisky cominciò a essere veramente“felice”. La bevanda acquisì una consideraz­ione ben diversa dalla cattiva reputazion­e del gin, considerat­o responsabi­le di ogni genere di tumulti e disordini a opera delle classi popolari nell’Inghilterr­a del XVIII secolo.

Il whisky, al contrario, godeva dell’appoggio della Corona. La regina Vittoria creò la moda della villeggiat­ura in Scozia e nei suoi spostament­i non trascurava mai di portare con sé una bottiglia di whisky.

Curiosamen­te, fu proprio la stessa regina che tanto appoggiava le “leghe della temperanza” per la prevenzion­e dell’alcolismo a concedere la distinzion­e di“fornitore reale”alla distilleri­a di Lochnagar. A partire da quel momento l’impero britannico avrebbe portato il whisky nei cinque continenti sulle navi dell’Armata.

Verso la fine dell’ottocento la piaga della fillossera, che provocò il crollo del mercato del brandy, offrì un’ulteriore magnifica opportunit­à di crescita al suo rivale. Agli albori del XX secolo il whisky era diventato una bevanda elegante e, secondo quanto recitava una pubblicità dell’epoca, salutare, dato che «non nuoce alla testa e neppure al fegato».

La passione del re (e dandy) Edoardo VII per questa bevanda avrebbe contribuit­o ad aumentare il prestigio del distillato: quando il sovrano cominciò a berlo con l’acqua, molti dei suoi sudditi imitarono quest’abitudine chic.

Sempre capace di reinventar­si, il whisky sopravviss­e alle due guerre mondiali – nel 1943 non se ne distillò neanche una goccia – e seppe guadagnars­i un po’ alla volta nuovi spazi grazie, tra le altre cose, alle creme di whisky e all’introduzio­ne del malto, destinato a contrastar­e il dominio del blended a partire dagli anni ’70 e ’80 del XX secolo.

Questa bevanda che, secondo l’esperto James Boswell, «rende felici gli scozzesi», oggi può arrivare a costare, all’asta, fino a centinaia di migliaia di euro a bottiglia. Highland o Lowland, Speyside, Islay o Campbeltow­n, whisky più salati o più minerali, con toni dorati, oppure con riflessi di mogano: gli appassiona­ti possono scegliere il distillato in mille versioni.

Tutte condividon­o però la caratteris­tica di rappresent­are, come afferma lo storico scozzese David Daiches, un brindisi alla civiltà, un tributo alla continuità della cultura e un manifesto della determinaz­ione umana a godere pienamente dei propri sensi.

 ??  ?? UN ALAMBICCO rudimental­e per distillare aqua vitae in una fattoria. Incisione su legno del 1616.
UN ALAMBICCO rudimental­e per distillare aqua vitae in una fattoria. Incisione su legno del 1616.
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 ??  ?? MANIFESTO CON UNA BOTTIGLIA DI WHISKY SCOZZESE. GETTY IMAGES
MANIFESTO CON UNA BOTTIGLIA DI WHISKY SCOZZESE. GETTY IMAGES
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IL WHISKY faceva parte della vita degli scozzesi del XIX secolo, come si vede in questo dipinto di John Frederick Lewis.
 ??  ?? LOCHNAGAR. Nel 1848 la regina Vittoria fece di questa distilleri­a, nei pressi del castello di Balmoral, la fornitrice ufficiale della Corona.
LOCHNAGAR. Nel 1848 la regina Vittoria fece di questa distilleri­a, nei pressi del castello di Balmoral, la fornitrice ufficiale della Corona.

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