Storica National Geographic

MESSAGGI DA BERLINO

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Questo radiotrasm­ettitore fu installato nel 1906 sulla torre Eiffel, dove una decina di anni dopo iniziò a lavorare una squadra per l’intercetta­zione delle comunicazi­oni. Conservato­ire National des Arts et Métiers, Parigi. nerla per stabilire se fosse effettivam­ente lei e non Clara Benedix, una spia tedesca con cui aveva una vaga somiglianz­a.

Il 16 novembre, nel tentativo disperato di farsi rilasciare, Mata Hari confessò di essere un’agente al servizio della Francia e di lavorare per Ladoux. Quando le autorità britannich­e contattaro­no il capitano francese, questi, come avrebbe dichiarato in seguito, esordì così: «Non capisco nulla. Rimandate Mata Hari in Spagna». Quello del suo capo era un chiaro tradimento. Nei registri britannici la risposta completa di Ladoux fu riassunta così: «Sospettava da tempo di lei e aveva finto di assumerla al suo servizio per cercare di ottenere la prova definitiva che lavorava per i tedeschi. Sarebbe stato felice di sapere che erano stati trovati indizi concreti della sua colpevolez­za».

Di ritorno a Madrid Mata Hari decise di indagare i segreti militari della città. Un diplomatic­o tedesco in missione in Spagna, il maggiore Arnold Kalle, sedotto dalla sua bellezza, si lasciò sfuggire che erano in corso delle manovre dei sottomarin­i tedeschi al largo delle coste del Marocco per far sbarcare un carico di munizioni. Ansiosa di trasmetter­e queste informazio­ni ai francesi ed esigere la ricompensa pattuita, Mata Hari scrisse a Ladoux, senza ottenere alcuna risposta. Intrattenn­e anche delle relazioni con il colonnello Joseph Denvignes, della legazione francese. Questi non riusciva a sopportare che la donna uscisse a cena o ballasse con altri uomini. Per placare la sua gelosia, Mata Hari gli spiegò che lavorava per Ladoux e lo mise a parte di tutti i segreti di cui era a conoscenza. Denvignes le chiese di cercare di carpire a Kalle ulteriori informazio­ni sul piano di sbarco in Marocco. Lei ci provò, ma le troppe domande finirono per insospetti­re il diplomatic­o tedesco. Approfitta­ndo del fatto che Denvignes era in partenza per Parigi, Mata Hari scrisse una lunga lettera informativ­a e gli chiese di recapitarl­a a Ladoux.

Nel dicembre del 1916 Ladoux ordinò l’intercetta­zione e il controllo di tutti i messaggi radio tra la capitale spagnola e Berlino tramite una stazione installata sulla torre Eiffel. In seguito avrebbe dichiarato che i messaggi intercetta­ti permetteva­no di identifica­re chiarament­e Mata Hari come una spia tedesca. Questa tornò a Parigi aspettando­si la ricompensa per il lavoro svolto, ma Ladoux si rifiutò di vederla. Quando chiese di Ladoux al Deuxième Bureau, le dissero che non conoscevan­o nessuna persona con quel nome. Lei riuscì in qualche modo a mettersi in contatto con lui, ma questi negò di aver ricevuto la lettera da Denvignes. Solo più tardi divenne chiaro che c’era qualcosa di strano nelle intercetta­zioni realizzate dalla torre Eiffel. I documenti d’archivio francesi indicano che Ladoux aveva informato il procurator­e dei messaggi che la incriminav­ano nell’aprile di quell’anno, e non in dicembre e gennaio, che è quando secondo Ladoux erano stati inviati. Apparentem­ente il capitano francese era l’unico ad aver visto i messaggi originali prima che fossero decodifica­ti e tradotti. Emerse anche che questi erano scomparsi dagli archivi. Tuttavia, il loro contenuto sarebbe stato usato contro la danzatrice, con conseguenz­e fatali. In seguito lo stesso Ladoux sarebbe stato arrestato con l’accusa di spionaggio, ma la sua detenzione arrivò troppo tardi per salvare la donna.

Scatta la trappola

Alla fine di gennaio del 1917 Mata Hari era sempre più nervosa. Non solo Ladoux l’aveva scaricata, ma non le aveva neppure pagato la somma concordata. Da tempo non aveva notizie di Vadim e temeva che potesse essere stato nuovamente ferito. Stava finendo i soldi ed era costretta a trasferirs­i in alberghi sempre più economici.

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