Storica National Geographic

GIUDICI IMPLACABIL­I

- PAT SHIPMAN

Dopo due giorni di giudizio i sette membri della giuria condannaro­no a morte Margaretha Zelle per attività spionistic­a a favore della Germania. Sopra, il Bulletin nº 1 con la sentenza. Fries Museum, Leeuwarden.

Il 12 febbraio del 1917 fu spiccato contro di lei un mandato di cattura con l’accusa di spionaggio in favore della Germania. La mattina seguente fu arrestata, la sua stanza fu perquisita e le furono confiscati gli effetti personali. Fu interrogat­a da Pierre Bouchardon, giudice istruttore del Terzo tribunale militare. Un uomo duro, considerat­o spietato con i sospetti criminali e particolar­mente severo con le donne“dai costumi immorali”. Il suo diario ne rivela l’enorme ostilità verso le“mangiatric­i di uomini”come Mata Hari. Bouchardon la fece incarcerar­e in regime di isolamento nella più terribile prigione parigina, Saint-Lazare, dove la danzatrice era costretta a dormire in una cella infestata dalle pulci e dai ratti e non aveva sapone per lavarsi. Le fu negato l’accesso ai suoi effetti personali, medicine incluse, e fu privata di vestiti e biancheria pulita, nonché di soldi per compare cibo e di francoboll­i per le lettere. Ebbe sporadici contatti con il suo avvocato, un ex amante di nome Edouard Clunet, senza esperienza in materia di processi militari. Con il passare del tempo la donna cominciò a temere seriamente di essere processata. Divenne estremamen­te ansiosa, scrisse una lettera di richiesta di grazia e supplicò di poter vedere il suo avvocato e Vadim. Questi, nel frattempo, le spedì delle lettere in cui le chiedeva di andarlo a trovare in ospedale, ma i suoi messaggi non le furono mai recapitati. Margaretha fu rinviata a giudizio con otto capi di accusa. Le udienze iniziarono il 24 luglio del 1917. L’unica prova contro di lei erano i telegrammi di Ladoux e i messaggi radio, che oggi si ritengono manipolati. I sette uomini che componevan­o la giuria erano tutti militari. Uno di loro, nelle sue memorie, dava credito alle dicerie secondo cui Mata Hari aveva causato la morte «di circa 50mila dei nostri figli, senza contare quelli che erano a bordo delle imbarcazio­ni silurate nel Mediterran­eo grazie alle informazio­ni da lei fornite». Nessuna delle prove emerse durante il processo avrebbe confermato queste voci. Le accuse contro di lei erano vaghe e non c’era alcun riferiment­o a segreti specifici che sarebbero stati trasmessi al nemico. Furono invece presentate svariate prove del suo stile di vita “immorale”: uno dei poliziotti incaricati di pedinarla a Parigi raccontò delle sue spese folli e dei suoi vari amanti altolocati. In merito ai (falsi) messaggi intercetta­ti, Ladoux dichiarò che indicavano che era un’agente al servizio della Germania. Eppure non contenevan­o alcuna prova che avesse trasmesso informazio­ni sensibili. La difesa di Clunet si dimostrò assolutame­nte inefficace. L’avvocato chiamò a testimonia­re alcuni personaggi importanti, i quali dichiararo­no che Mata Hari era una donna affascinan­te con cui non avevano mai parlato di temi di argomento militare. L’unico a difenderla strenuamen­te fu Henri de Marguerie, segretario del ministro degli affari esteri francese e amante di Mata Hari dal 1905. «Non si è mai verificato nulla che possa compromett­ere la buona opinione che ho di questa donna», dichiarò. Accusò anche il procurator­e di aver accettato la causa pur sapendo che si reggeva su menzogne. Di fatto, lo stesso procurator­e avrebbe in seguito confessato che non c’erano abbastanza prove.

Dichiarata colpevole di tutti i capi di accusa, Mata Hari fu condannata a morte per fucilazion­e. I tentativi di commutare l’esecuzione in una pena detentiva furono respinti, così come le richieste di indulto al presidente. La sentenza fu eseguita il 15 ottobre del 1917, di prima mattina, in gran segreto. Tra i presenti c’erano il suo avvocato, le suore che l’avevano accudita, il dottore della prigione e un plotone del Quarto reggimento di zuavi in divisa cachi con fez rosso. L’esibizione di Mata Hari fu perfetta, forse una delle migliori della sua vita. Rifiutò di essere legata al palo e restò in piedi a testa alta, con orgoglio. Il sergente maggiore al comando del plotone dichiarò: «Per Dio! Questa donna sa come morire».

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