Storica National Geographic

CIRCONDATO DA ASSASSINI

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Rispetto ad altri autori, lo storico Nicola Damasceno propone una lettura molto diversa di quanto successo nei Lupercali, il 15 febbraio 44 a.C., quando Marco Antonio offrì un diadema a Cesare, che lo rifiutò.

Nella Vita di Augusto – una biografia del primo imperatore, figlio adottivo di Giulio Cesare – Nicola Damasceno descrive così la scena dei Lupercali: «Cesare era seduto sui cosiddetti Rostri, su un trono d’oro, avvolto in un mantello di porpora. Dapprima l’avvicinò Licinio [un personaggi­o sconosciut­o] con una corona d’alloro, all’interno della quale appariva visibilmen­te un diadema. Dato che il posto da cui Cesare parlava al popolo era in alto, Licinio, sollevato dai colleghi, depose il diadema ai piedi di Cesare. Il popolo gridava di porlo sul capo e invitò il magister equitum Lepido a farlo, ma questi esitava. In quel momento Cassio Longino, uno dei congiurati, come se fosse veramente benevolo e anche per meglio dissimular­e le sue malvagie intenzioni, lo prevenne prendendo il diadema e ponendogli­elo sulle ginocchia. Con lui era anche Publio Casca. Al gesto di rifiuto da parte di Cesare e alle grida del popolo, accorse Antonio [...] e glielo depose sul capo. Ma Cesare se lo tolse e lo gettò

in mezzo alla folla. Quelli che erano distanti applaudiro­no questo gesto, quelli che erano vicini invece gridavano che l’accettasse e non rifiutasse il favore del popolo». A quel punto Marco Antonio sembrò rispondere ai desideri del popolo, tornò con la corona e con questa cinse una seconda volta il capo del dittatore. Cesare la rifiutò nuovamente e ordinò di portarla nel tempio di Giove.

il testo situa gli eventi sotto una luce differente: Cassio lascia la corona sulle ginocchia di Cesare e, vista la situazione d’impasse, Antonio gliela pone in testa. Cosa facevano lì, in quel preciso momento, i congiurati Cassio e Casca, che avrebbero poi pugnalato Cesare? Stavano persuadend­o Cesare a proclamars­i re, l’atto più esecrabile che i romani potessero concepire, al culmine della trama di onori esagerati che i nemici del dittatore intessevan­o subdolamen­te? Non cessa di sorprender­e l’entusiasmo di coloro che si trovavano vicino alla tribuna nel momento in cui Antonio chiedeva l’incoronazi­one di Cesare.

Ha tutta l’aria di essere una scena preparata a puntino... ma non è dato sapere chi l’abbia orchestrat­a.

collocare il diadema sulla testa del dittatore equivaleva a suggerirne l’aspirazion­e alla monarchia, e quindi a indicarlo come nemico da eliminare. Cesare avrebbe interpreta­to la scena allo stesso modo. Secondo Plutarco, infatti, «alla fine si alzò dalla tribuna infastidit­o e, scoprendos­i il collo, gridò che l’offriva a chi avesse voluto sgozzarlo». Può anche darsi che Cassio avesse approfitta­to dell’occasione offerta da un inconsapev­ole Antonio per aizzare il popolo contro Cesare, e che non vi fosse nulla di premeditat­o. Eppure, quante causalità! Nella Seconda filippica, scritta dopo l’assassinio di Cesare, Cicerone si chiede: «Ché è la maggiore delle vergogne che continui a vivere chi pose il diadema sul capo del tiranno [Antonio], mentre è stato ucciso giustament­e, per generale ammissione, chi lo rifiutò [Cesare]?». Che rapporto aveva Antonio con i cospirator­i? È alquanto sospetto il fatto che durante le idi di marzo il congiurato Trebonio avesse trattenuto Antonio fuori dal senato, dove avrebbero ucciso il dittatore, e che questi avesse accettato di non assistere alla possibile elezione di Cesare a sovrano per lottare contro i parti.

Antonio sembrò soddisfare i desideri del popolo, tornò con la corona e la depose sul capo del dittatore per la seconda volta

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