L’OPERA PIÙ FAMOSA
Il romanzo più noto del marchese de Sade è Justine o le disgrazie della virtù. Quando uscì in Olanda, nel 1791, sconcertò i critici, che l’interpretarono come una denuncia del vizio. Ben presto capirono che era tutto fuorché questo. La trama è abbastanza semplice: Justine, modello di virtù, vuole seguire la via della purezza, ma ovunque
vada subisce umiliazioni e s’imbatte nelle sfrenatezze sessuali dei libertini, tra i quali quattro monaci che la stuprano e torturano per diversi mesi. Una frastornata e ingenua Justine è sottoposta a ogni sorta di atto crudele. Alla fine, quando sembra che la protagonista abbia trovato un rifugio sicuro, viene colpita da un fulmine nel bel mezzo di una terribile tempesta. Malgrado il finale forzato, la prosa robusta e seducente
del marchese invita alla lettura. La si può apprezzare in frammenti come questo, in cui la sfortunata ragazza cade vittima della lussuria dei monaci: «Le colano lacrime, egli le divora. Ora bacia e ora minaccia, ma continua a colpire [...] e niente fa prevedere la fine dei suoi tormenti [...] Il sublime petto di Justine è lì; lo eccita; vi posa la bocca; l’antropofago lo morde e tale eccesso determina la crisi; lo sperma fugge». con la moglie rispondeva a un matrimonio di convenienza, il repentino desiderio per la cognata di diciannove anni fu un vero e proprio colpo di fulmine, e i due scapparono insieme a Venezia.
Su ordine della suocera, che temeva un possibile scandalo dagli esiti inimmaginabili, il marchese fu fermato e confinato nel forte di Miolans, vicino a Lione. La moglie, Pélagie, viaggiò fin lì travestita da uomo e, assieme a un servitore, nella notte del 30 aprile 1773 l’aiutò a evadere. Sade si rifugiò clandestinamente nel castello di La Coste. Decisa a tutto pur di farlo catturare, la présidente de Montreuil riuscì a estorcere al sovrano un ordine di arresto contro il genero. Dopo vari tentativi, il marchese fu di nuovo preso e destinato prima alla fortezza di Vincennes, dove sarebbe stato rinchiuso dietro diciannove porte di ferro, e dopo alla Bastiglia. In totale vi avrebbe trascorso ben undici anni, durante i quali si dedicò alla scrittura. Nella Bastiglia la sua biblioteca raggiunse i seicento volumi. Come ha commentato la
filosofa e attivista francese Simone de Beauvoir: «In prigione entra un uomo, e ne esce uno scrittore». E che scrittore!
Un catalogo di perversioni
Il 22 ottobre 1785 il marchese passò in bella copia le bozze di Les 120 journées de Sodome, la sua prima grande opera, un «gigantesco catalogo di perversioni», secondo il critico Jean Paulhan. Per evitare che il libro venisse confiscato, ricopiò il testo in grafia minuta su entrambi i versi di più fogli, uno di seguito all’altro, che andarono a formare un rotolo largo circa dodici centimetri e lungo oltre dodici metri che riuscì a tenere nascosto per quattro anni nella sua cella.
Tempo dopo, a causa di un alterco, fu trasferito nell’ospizio manicomiale di Charenton, un luogo di gran lunga migliore e rispettoso dei propri ospiti diretto dai Fratelli della carità. Nonostante il netto miglioramento delle sue condizioni di vita, non gli fu permesso
Illustrazione di Pierre Delcourt per la rivista L’Omnibus, del 1888, che mostra Justine sdraiata su un divanetto, davanti allo sguardo del marchese. di portare mobili o libri. Né ovviamente i suoi testi. Nel corso della Rivoluzione francese la Bastiglia venne saccheggiata e Sade perse ogni suo bene, o almeno così credette. In realtà i manoscritti erano stati salvati da uno dei giovani rivoluzionari, ma la sua disperazione fu tale da raccontare di aver pianto «lacrime di sangue».
Grazie alla rivoluzione il marchese de Sade ritrovò la libertà. Era irriconoscibile: aveva preso parecchio peso e camminava con grande difficoltà. Il “cittadino” Donatien accolse la rivolta con simpatia e divenne membro della sezione detta delle Picche (uno dei distretti in cui i rivoluzionari avevano diviso Parigi), nella quale militava pure Robespierre. Nel 1793 fu scelto come suo presidente, e da quella posizione protesse la famiglia dagli eccessi dei giacobini, e alla morte di Marat lesse un toccante elogio funebre. Ma le sue posizioni troppo radicali perfino per Robespierre, infastidito dal suo ateismo sfrenato, lo portarono di