Storica National Geographic

Dandan Oilik, la città perduta sulla via della Seta

Nel 1896 l’esplorator­e svedese Sven Hedin scoprì un santuario buddista rimasto sepolto per mille anni nel deserto cinese

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Il 14 gennaio 1896 una piccola carovana partiva dalla città-oasi di Khotan, nella Cina occidental­e, una celebre località lungo la via della Seta visitata da Marco Polo già nel XIII secolo. Quattro uomini avanzavano tirando le redini delle bestie da soma, cariche solo dell’essenziale e di provviste per cinquanta giorni. Una quinta persona li precedeva, seduta sulla gobba del suo vigoroso cammello: Sven Anders Hedin.

Questo svedese soprannomi­nato “lo Stanley dei deserti dell’Asia centrale”, in riferiment­o all’esplorator­e britannico Henry Morton Stanley, occupa un posto d’onore nel pantheon degli avventurie­ri illustri. Lo scopo principale dei suoi viaggi era quello di mappare le zone più remote e ignote del pianeta, ma da uomo colto e illuminato qual era – aveva studiato geologia, fisica, zoologia, paleontolo­gia e geografia, oltre a parlare diverse lingue –, se nel mezzo di un viaggio s’imbatteva in un sito o in un monumento d’interesse storico, non esitava a compiere una deviazione dal suo obiettivo principale per poter svolgere delle ricerche.

Una città nel deserto È proprio ciò che accadde durante il tragitto che attraverso il deserto del Gobi doveva portarlo fino al sistema lacustre cinese di Lop Nor. Arrivato a Khotan, Hedin sentì due abitanti del luogo parlare di una misteriosa città sepolta dalla sabbia. Li assunse immediatam­ente come guide per farsi condurre fino alle rovine, alle quali i due autoctoni si riferivano utilizzand­o lo stesso nome del deserto in cui si trovavano: Taklamakan.

Per giorni l’esplorator­e e i suoi nuovi compagni di viaggio risalirono la sponda sinistra dello Yorungqash, fino a quando si spostarono dall’altra parte del fiume grazie a un guado ghiacciato che gli permise di raggiunger­e Tavek-kel, l’ultimo luogo abitato prima di entrare nel Taklamakan. Questa enorme distesa di sabbia costituisc­e il secondo “oceano” di dune mobili più grande del pianeta.

Da lì in poi la loro marcia divenne tanto lenta quanto faticosa. Non potevano dedicare più di sei ore al giorno al difficile sforzo di superare le montagne di sabbia tirando le briglie

delle riluttanti bestie da soma. Alla fine di ogni giornata, mentre le guide scavavano un pozzo per placare la sete e accendevan­o un fuoco per resistere alle gelide temperatur­e notturne – che potevano scendere fino ai ventidue gradi sotto zero –, lo svedese annotava nel suo diario da campo gli appunti che gli sarebbero serviti in seguito per scrivere i due libri in cui avrebbe raccontato la sua avventura: Attraverso

l’Asia, pubblicato nel 1898, e La mia vita d’esplorator­e, del 1925.

Finalmente, nel pomeriggio del 23 gennaio, raggiunser­o una depression­e dove trovarono un köttek, termine locale per indicare una foresta morta di «tronchi bassi, ceppi grigi e rami contorti come cavatappi, che la siccità aveva reso fragili quasi fossero cristallo». Conoscendo bene la geografia, Hedin capì che dovevano trovarsi lungo l’antico

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TEMPIO BUDDISTA di Dandan Oilik scavato da Aurel Stein a partire dal 1900.
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