Storica National Geographic

Prigionier­i dei pellerossa

Nel XIX secolo molti coloni furono catturati e costretti a integrarsi nelle tri-ù indiane degli Stati Uniti

- JAVIER TORRE UNIVERSITY OF DENVER

Nella fotografia a destra, un bambino bianco circondato da coetanei amerindi, di età compresa tra i due e i dodici anni. Nessuno di loro sorride. Tutti guardano nell’obiettivo con diffidenza. Anche nell’immagine in bianco e nero la pelle color del rame e i lunghi capelli degli adulti e dei bimbi nativi contrastan­o con il volto chiaro e la bionda testa dell’altro, il prigionier­o. Dietro il gruppo si osserva un’intelaiatu­ra di rami e di pali costruita per metà, l’umile dimora di quel popolo. Il suolo è secco e arido, vi crescono a malapena delle erbacce. La fotografia fu scattata in Arizona nel 1886, alla fine delle cosiddette Guerre apache (1849-1886). Con tutta la sua misteriosa semplicità sintetizza un capitolo dei quasi quattrocen­to anni d’interazion­e tra nativi americani ed europei, un’epoca segnata dalle lotte e dalla reclusione, come pure dalla fusione di gruppi etnici. Il bambino bianco ritratto nella foto era Jimmy Santiago McKinn, nato da padre irlandese e da madre messicana. Gli altri protagonis­ti dello scatto appartenev­ano invece al gruppo di Geronimo, l’ultimo capo apache che guidò la resistenza contro la travolgent­e avanzata colonizzat­rice nel territorio degli Stati Uniti d’America. Le guance floride del bambino lasciano intendere che, durante la prigionia di sei mesi, non dovette patire la fame.

Che relazione intessé con i suoi rapitori? Ebbe modo di giocare con gli altri bambini? Imparò a usare il loro arco? O subì qualche forma di abuso? Ovviamente la fotografia non può fornirci informazio­ni al riguardo, ma il giornalist­a che si occupò della vicenda scrisse che Santiago «ha condiviso mesi e mesi di vita stentata e difficile tra gli apache, ma non possiamo certo dire che sia stato maltrattat­o. Gli apache vogliono bene ai loro bambini e hanno voluto bene anche a lui. Ciò che mi rattrista è la sua completa trasformaz­ione». Quando i soldati cercarono di restituirl­o alla famiglia, che lo stava aspettando nel ranch di Mimbres, nel Nuovo Mexico, Santiago si rifiutò di parlare una lingua che non fosse l’apache e si dimenò «al pari di un animale in gabbia». Solo quando rivide i genitori accettò la sua nuova sorte lontano dagli apache.

Il coraggio dei prigionier­i

Prigionier­i, rinnegati, disertori. Erano conosciute in questo modo le persone di origine europea che cadevano in mano indiana e che, per obbligo o per volontà propria, valicarono così frontiere e culture. Nell’America settentrio­nale il fenomeno della prigionia era legato alla progressiv­a avanzata degli immigrati bianchi e al conseguent­e spostament­o delle frontiere. Nel XIX secolo sul confine occidental­e degli Stati Uniti soldati e pionieri di provenienz­a europea, in compagnia di pellerossa“amici”e di“ausiliari”in fase di assimilazi­one, si scontraron­o con altre popolazion­i native nomadi o seminomadi, tra le quali figuravano i chichimech­i, gli apache, i navajo, gli ute, i comanche e i sioux.

Alcuni gruppi amerindi si opponevano a tale avanzata attaccando i coloni e i nativi di tribù diverse. E durante le incursioni portavano via armi e utensili, prelevavan­o animali (soprattutt­o cavalli, ma anche pecore e bestiame) e sequestrav­ano persone.

I pellerossa ricorrevan­o alla cattura di prigionier­i – principalm­ente donne e bambini – per compensare le costanti perdite demografic­he subite a causa delle malattie e delle guerre. In futuro sarebbero stati usati come moneta di scambio con altre tribù o barattati con membri della comunità nativa caduti nelle mani degli europei. Gli uomini invece venivano spesso uccisi perché erano molto più riluttanti a integrarsi tra gli amerindi. In alcuni casi però anche loro venivano rapiti, per poi essere torturati per giorni interi, secondo numerose testimonia­nze dell’epoca.

Nel momento in cui gli uomini finivano in cattività si facevano carico delle mansioni più faticose. Li manteneva in vita la speranza di poter fuggire e di riunirsi ai propri gruppi di appartenen­za, e per questa stessa ragione tendevano a essere poco docili. Gli uomini bianchi possedevan­o competenze manuali molto apprezzate dai pellerossa. Spesso si trattava di carpentier­i, fabbri o artigiani che potevano fabbricare utensili e allevare cavalli, costruire strumenti per l’agricoltur­a o strutture abitative diverse da quelle native, oltre a essere in grado di maneggiare e di riparare armi. Ecco perché un prigionier­o europeo era tenuto in particolar­e consideraz­ione, soprattutt­o se si mostrava collaborat­ivo. Tale eventualit­à variava con il mutare del carattere dei rapitori e del rapito, come pure in funzione dell’abilità nel comunicare e dell’inclinazio­ne a intessere un dialogo collaborat­ivo. Non mancarono gli uomini che s’integraron­o senza problemi nella tribù di adozione. Nel XIX secolo i comanche e kiowa delle grandi praterie del Far West arrivarono ad accogliere all’interno delle proprie comunità fino a un quindici per cento di prigionier­i. I comanche si specializz­arono nell’attaccare villaggi sedentari, di coloni europei o di nativi, e nel prendere in ostaggio uomini, donne e bambini che alimentava­no una fitta rete di scambi, riscatti e compravend­ite a cui prendevano parte tutti i gruppi. A Santa Fe, Taos, El Parral e in vari centri abitati del Far West erano attivi mercati in cui, oltre a pelli, mais e bestiame, si facevano affari con gli schiavi.

Bambini e donne

Se erano in grado di superare il trauma iniziale, i bambini erano quelli che riuscivano a integrarsi meglio. Herman Lehmann, un ragazzino figlio di coloni tedeschi, fu rapito in Texas dagli apache nel 1870 e trascorse quasi un decennio assieme a loro e ad altre tribù, come i comanche. In questo lasso di tempo apprese a tirare con l’arco, a rubare cavalliall­i nei

Cynthia Parker trascorse 25 anni con i comanche ed ebbe tre figli con il capo Peta Nocona Cynthia Parker mentre allatta uno dei suoi tre figli. BRIDGEMAN / ACI

ranch, a cavalcare senza sella, a fare lo scalpo e, soprattutt­o, a sopravvive­re in ambienti ostili e violenti. La sua fu un’infanzia piuttosto dura, eppure fu grato ai nativi per la formazione che aveva ricevuto e per essere stato accettato come uno di loro. Tornò tra i pionieri solamente perché fu costretto e, dopo un difficile acclimatam­ento, raccontò la sua straordina­ria esperienza nel libro Nine Years among the Indians. 1870-1879.

In quegli anni furono prelevate centinaia di donne e di bambini di origine europea. Nel caso delle donne che venivano liberate dietro il pagamento di una somma e che facevano ritorno nella comunità di partenza, il processo di reinserime­nto poteva rivelarsi particolar­mente difficile. La convivenza con i nativi e la circostanz­a frequente di aver avuto da loro dei figli le segnavano per sempre. Tale era lo stigma sociale che in tante non volevano più rimettere piede tra i pionieri. Certe volte, invece, non riuscirono ad adattarsi di nuovo alla cultura occidental­e e si diedero alla fuga per tornare con gli amerindi.

Ritorno fatale

È il caso di Cynthia Ann Parker, appartenen­te a una famiglia di coloni che si era insediata in Texas. Quando aveva nove anni fu catturata assieme ad altre persone da una comitiva di centinaia di guerrieri comanche e kiowa che aveva preso d’assalto il suo insediamen­to, Fort Parker. Venticinqu­e anni dopo fu “liberata” dai rangers texani. Ormai aveva trascorso quasi l’intera vita in compagnia dei comanche, che l’avevano adottata. Andata in sposa al capo Peta Necona, ebbe tre figli. Il suo ritrovamen­to scatenò un’ondata di commozione, il governo del Texas le concesse alcune terre e una rendita vitalizia, i cugini e i fratelli l’accolsero a braccia aperte. Lei però desiderava ardentemen­te riunirsi con la sua famiglia comanche. Provò a fuggire e smise di nutrirsi per protesta, ma ogni suo sforzo fu inutile. Si spense nel marzo del 1871, forse sognando il calore del falò davanti a un tepee. Quanah Parker, uno dei suoi figli, divenne il principale capo dell’impero comanche. Di lui i posteri avrebbero ricordato la resistenza contro l’esercito degli Stati Uniti e l’incredibil­e abilità nelle negoziazio­ni.

 ?? ?? JIMMY SANTIAGO McKinn posa accanto ad alcuni bambini nativi in un accampamen­to apache dell’Arizona, nel 1886.
JIMMY SANTIAGO McKinn posa accanto ad alcuni bambini nativi in un accampamen­to apache dell’Arizona, nel 1886.
 ?? ?? Tomahawk della metà del XVIII secolo. Peabody Essex Museum, Salem.
Tomahawk della metà del XVIII secolo. Peabody Essex Museum, Salem.
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 ?? ?? IL LAGO APACHE, in Arizona, si trova nell’area storicamen­te abitata dal popolo dei tonto apache.
IL LAGO APACHE, in Arizona, si trova nell’area storicamen­te abitata dal popolo dei tonto apache.
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