IL LADRO IMPICCATO, UN TEMA LETTERARIO
Nel Medioevo circolavano storie sui ladri mandati alla forca, a volte salvati all’ultimo momento. Sopra queste righe, illustrazione del
Libro del cavaliere Zifar. XIV secolo. Bibliothèque nationale de France. non fece sconti sulle esecuzioni pubbliche. Al contrario, la repressione dei reati fu attuata quasi sempre nel nome di Dio e le pene di morte vennero giustificate in quanto castigo divino e religioso. Nel mondo medievale la religione permeò la società, il potere e la giustizia a tal punto che delitto e peccato, delinquente e peccatore, erano considerati concetti sinonimi tra di loro. E così fecero la loro comparsa crimini che fino ad allora non erano stati considerati tali. Ne sono un esempio il paganesimo, la stregoneria, la magia, la divinazione, il concubinato o l’idolatria, solo per citarne alcuni. L’ideologia religiosa, insomma, permeò la legislazione penale di tutti gli stati medievali.
Catalogo di supplizi
In quei secoli la pena di morte veniva praticata in molteplici forme e procedimenti, su cui influivano lo status sociale dell’imputato e la gravità del delitto. Alla fine il metodo di condanna più comune rimase la forca, di solito riservata a malfattori di umili origini come ladri e briganti di strada. Questi ultimi incidevano notevolmente sul totale di condannati alla pena capitale. Si è calcolato che nell’Inghilterra medievale l’ottanta per cento di loro venne in realtà punito per trasgressioni contro le persone, ma senza violenza, e quindi soprattutto per furti.
Non era nemmeno strano che in simili circostanze si verificassero sanzioni di gruppo. Una cronaca inglese riferisce che nel 1124 vennero impiccati quarantaquattro ladri in una volta. Visto il carattere infamante di questa pena, non era prevista per gli
imputati della classe nobile o borghese, e neppure per le donne. Gli episodi isolati di donne che subirono l’impiccagione suscitarono profondo turbamento.
Una misura simile alla forca era la garrota, che consisteva nello strangolare il condannato con un anello di metallo stretto al collo tramite una vite. Lo usò l’Inquisizione spagnola per uccidere gli accusati prima di bruciarli, perché così si evitava che pronunciassero calunnie o bestemmie mentre morivano. Intorno al 1495 Pedro Berruguete dipinse un’esecuzione con garrota e rogo nella tavola che rappresenta un processo dell’Inquisizione: Autodafé presieduto da san Domenico di Guzmán.
Per quanto riguarda le donne, quelle accusate di aver commesso un crimine di solito erano punite con il rogo. In Inghilterra, agli inizi del XIII secolo, Alice of Wheatley fu arsa viva perché accusata di aver ammazzato il marito. Il rogo era considerato un tormento purificatore, e veniva quindi impiegato con eretici ed eterodossi, come pure per i colpevoli di reati sessuali ritenuti aberranti, quali l’incesto o la sodomia. Fu anche la sorte di Dolcino da Novara, capo e fondatore del movimento dei dolciniani, che tra le altre cose rivendicavano il diritto dei laici a predicare e denunciavano la corruzione dei costumi ecclesiastici. Catturato, assistette alla morte tra le fiamme della sua compagna Margherita da Trento, e subì la stessa sorte il primo giugno 1307.
La morte più rapida era quella per decapitazione, riservata alle persone importanti. Con ogni probabilità il primo decapitato in Inghilterra fu Earl Waltheof, un nobile punito da Guglielmo il Conquistatore nel 1076 per essersi opposto alla conquista normanna. Le decapitazioni pubbliche suscitavano sempre una profonda impressione nella popolazione. L’elenco di pratiche di pena capitale adottate nel Medioevo, che oggi potrebbero inquietare per via della loro ferocia, è decisamente lungo. Una di queste era la mazzeratura, che consisteva nel gettare l’imputato in un fiume o in un lago all’interno di un sacco