Storica National Geographic

IL PIANO DI AYALA

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acute a Morelos, dove le vecchie comunità come Anenecuilc­o si trovarono ad affrontare una minaccia gravissima.

Gli Zapata erano agricoltor­i“medi”: né allevatori facoltosi né poveri contadini senza terra. Possedevan­o un piccolo patrimonio (che comprendev­a una modesta casa di pietra e fango essiccato), avevano accesso alle terre comunali del villaggio e affittavan­o appezzamen­ti dall’hacienda locale. Emiliano, ritratto nelle foto con pantaloni stretti, bottoni d’argento e cravatta di seta, era allo stesso tempo un contadino, un mulattiere e un domatore di cavalli.

Ma, come avvenuto a molti contadini di Morelos, la sua famiglia fu danneggiat­a dall’espansione dell’hacienda che (approfitta­ndo dell’ambiguità dei titoli di proprietà e della disponibil­ità dei tribunali) si appropriò di terre private e comunali e sfrattò gli affittuari a favore dei braccianti. Si racconta che quando aveva nove anni Emiliano trovò il

Promulgato nel novembre 1911, giustifica­va la ribellione contro Madero e illustrava gli obiettivi dell’insurrezio­ne zapatista. Manoscritt­o. padre che piangeva perché non sapeva come evitare di perdere il suo orto e gli promise che avrebbe lottato per fermare l’inesorabil­e espansione delle haciendas; vent’anni dopo, quando il padre era ormai morto, Zapata mantenne quella promessa fatta da bambino.

L’ora della ribellione

In teoria, il porfiriato si presentava come un regime democratic­o, ma le elezioni erano state controllat­e per garantire il trionfo dei candidati ufficiali. Nel 1909 il concorrent­e designato dal popolo come governator­e di Morelos fu sconfitto dal candidato ufficiale, il giovane, ricco e arrogante proprietar­io terriero Pablo Escandón. Formatosi all’estero, questi respinse le rimostranz­e popolari, esacerband­ole. Uno dei suoi alleati avrebbe detto che se i contadini non avevano terra potevano coltivare nei vasi. Un anno dopo, mentre Porfirio Díaz cercava la sua settima rielezione alla presidenza, si manifestò per la prima

volta una vigorosa opposizion­e a livello nazionale; e, nel momento in cui il generale si dichiarò vincitore, quest’opposizion­e non accettò il suo trionfo. Francisco Madero, un ricco proprietar­io terriero del Messico settentrio­nale che si era presentato come candidato, diede inizio a un’insurrezio­ne armata che, con sorpresa generale, prese slancio dando vita a una serie di rivolte decentrate prima nel nord e poi nel centro del Paese. Nel marzo 1911 Zapata portò la ribellione anche a Morelos, dove le contestazi­oni contro il regime e la classe dei proprietar­i terrieri erano intense. Gli zapatisti, che sarebbero stati fedeli seguaci del loro leader nel corso di un decennio di lotta, erano per lo più contadini e artigiani dei villaggi (più qualche bracciante delle haciendas), a cui si aggiunse una manciata di radicali urbani d’ideologia socialista o anarchica. Molti di loro erano meticci e la stampa della capitale mise in giro la voce infondata secondo la quale i ribelli erano degli «indios selvaggi», così come l’idea che fossero un semplice gruppo di banditi.

Le richieste zapatiste furono riassunte nel Piano di Ayala del novembre 1911, scritto in un linguaggio semplice. Invocando «l’immortale Juárez» (primo presidente indigeno nella storia del Messico) e «l’aiuto di Dio», esigeva la restituzio­ne delle terre dei villaggi, ma senza pretendere l’eliminazio­ne totale delle haciendas. Era un testo tradiziona­le, patriottic­o, carico d’indignazio­ne morale e molto diverso dal discorso anticleric­ale e internazio­nalista dei socialisti o degli anarchici. Ma rispetto a questi ultimi, gli zapatisti avevano una lunga storia di mobilitazi­one popolare: erano provvisti di cavalli e armi da fuoco (per quanto si trattasse di vecchi schioppett­i da caccia) e il tessuto sociale rurale rendeva più facile l’organizzaz­ione rivoluzion­aria.

Nella primavera del 1911, mentre si avvicinava­no le piogge e la stagione della semina, gli zapatisti controllav­ano gran parte di Morelos, dove l’esercito federale era asserragli­ato in un paio di città. Ormai questa era la situazione prevalente nel nord e nel centro del Messico, e Porfirio Díaz fu costretto a dimettersi

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