VILLA E ZAPATA: INCONTRO NELLA CAPITALE
1. sotto la pressione di alcuni suoi sostenitori che speravano di sacrificare il vecchio dittatore per salvare la loro situazione personale e fermare l’insurrezione.
Fu eletto presidente Madero, leader nominale della rivoluzione, che iniziò – in modo onesto ma ingenuo – ad attuare il suo programma liberale e democratico. Si ritrovò però nel mezzo di un feroce fuoco incrociato: i porfiristi, considerandolo debole e inetto, complottavano la sua caduta, mentre i rivoluzionari più radicali come Zapata, frustrati dalla mancanza di una riforma agraria, riprendevano la lotta armata. Madero fece sempre più affidamento sull’esercito federale, che crebbe in dimensioni e ambizione.
Lotta fino alla fine
Questa situazione d’instabilità si risolse violentemente nel 1913, quando l’esercito rovesciò e assassinò Madero, sostituendolo con il generale Victoriano Huerta. Questi aveva condotto una feroce campagna contro gli zapatisti a Morelos e ora, divenuto dittatore 1. Il 6 dicembre 1914 Villa e Zapata, alla testa di oltre 50mila uomini, partirono da Xochimilco per entrare a Città del Messico.
2. I due capi fecero il loro ingresso nel palazzo Nazionale, dove Agustín Casasola scattò questa foto emblematica, con Villa sulla sedia presidenziale e Zapata al suo fianco.
3. Parteciparono poi a un banchetto offerto dall’allora presidente ad interim, Eulalio Gutiérrez, qui affiancato da entrambi i leader. militare, impiegava gli stessi metodi a livello nazionale. Scoppiarono ribellioni nel nord del Paese – dove Venustiano Carranza era a capo di un’accondiscendente coalizione «costituzionalista» – e nel centro, dove lo zapatismo si rafforzò a Morelos e negli stati limitrofi. La susseguente guerra civile fu più lunga e distruttiva di quella che aveva rovesciato Díaz, ma si concluse con la sconfitta finale dell’esercito federale e di ciò che restava del vecchio regime porfirista.
Intanto i ribelli organizzarono grandi eserciti convenzionali, come la massiccia divisione del Nord guidata da Pancho Villa, l’altro grande leader popolare della rivoluzione. Villa combatté nelle vaste pianure settentrionali, acquistando armi all’ingrosso dagli Stati Uniti, ai confini del territorio sotto il suo controllo. A sud della capitale Zapata non poteva beneficiare di questo vantaggio e costituì un vero e proprio esercito di contadini, le cui dimensioni variavano in funzione delle necessità delle operazioni militari e delle esigenze del calendario agricolo.
Mentre l’esercito villista, che poteva considerarsi professionale, intraprendeva campagne lunghe e in zone distanti, gli zapatisti mantennero i loro legami intimi con i villaggi e limitarono il loro raggio di azione a Morelos e dintorni, dove attuarono una vasta riforma agraria. Fu questa al tempo stesso la loro forza e la loro debolezza: a Morelos godevano di un profondo sostegno popolare e potevano resistere tenacemente, ma a livello nazionale erano sospettosi nei confronti degli altri rivoluzionari, con i quali non desideravano collaborare, ed erano privi di un progetto coerente per il Paese. E infatti rifiutarono di giungere ad accordi con la coalizione costituzionalista di Venustiano Carranza nel 1914. Sebbene i rappresentanti zapatisti partecipassero a riunioni nazionali come la Convenzione di Aguascalientes dello stesso anno, Zapata e i suoi capi militari tendevano a disertarle, lasciando questo compito agli intellettuali urbani emergenti, che infastidivano i loro interlocutori insistendo sul fatto che il Piano di Ayala dovesse essere preso come testo sacro della Rivoluzione nazionale. Zapata diffidava dei discorsi politici e preferiva rimanere a Morelos a godersi la vita del capo rurale e patriarcale assieme ai suoi figli tra feste, corride, liquori e sigari fatti in casa. Quando alla fine del 1914 le forze di Villa entrarono a Città del Messico, gli zapatisti sfilarono per le vie della capitale con gli stendardi della vergine di Guadalupe. I due grandi leader popolari s’incontrarono brevemente, in toni amichevoli. Poco interessati alla grande città e alla politica nazionale, gli zapatisti si comportarono in modo corretto, smentendo gli stereotipi sensazionalistici della stampa sui seguaci di colui che veniva definito con disprezzo «Attila del sud». Zapata alloggiò in un modesto albergo nelle vicinanze della stazione ferroviaria e nel giro di pochi giorni tornò a Morelos, alla sua vita di campagna e alla sua famiglia.