EROE POPOLARE
Un’incisione messicana contemporanea rievoca la figura di Zapata e lo slogan associato alla sua lotta per i contadini e contro il latifondo.
Teoricamente Villa e Zapata erano alleati, ma la loro intesa era priva di organizzazione e di sufficiente impegno, due caratteristiche che si rivelarono fondamentali quando la rivoluzione entrò nella sua fase finale: una sfida tra le due grandi coalizioni rivali dei carranzisti e dei villisti. L’esercito villista si scontrò con quello guidato dal generale Álvaro Obregón, a cui era superiore per numero e reputazione militare, nelle tre grandi battaglie che nel 1915 ebbero luogo a Celaya e León, lontano da Morelos. Dal canto suo Zapata preferì restare nel suo stato senza prendervi parte né attaccare le vulnerabili linee di rifornimento di Carranza. Obregón trionfò e gli zapatisti si ritrovarono di nuovo nel ruolo di ribelli contro il governo centrale, anche se adesso questo governo era di origine popolare, disponeva di un esercito agguerrito e nutriva un ambizioso progetto riformista incarnato dalla costituzione del 1917, la prima nella storia del Messico a includere dei diritti sociali.
Gli zapatisti resistettero per quattro lunghi anni, mentre Morelos soffriva la guerra e la repressione. Il governo rivoluzionario poteva logorare i ribelli ma non eliminarli. Anche se Zapata fu assassinato nel 1919 – attirato in un’imboscata a tradimento e crivellato di colpi – l’insurrezione continuò. Alla fine la situazione si risolse con un altro giro della grande ruota politica, che diede agli zapatisti superstiti i frutti della loro lunga lotta.
Nel 1920 Obregón prese il potere e iniziò la costruzione di un nuovo stato nazionalista e riformista. Generale brillante, era anche un politico accorto e strinse un accordo con il nuovo leader zapatista Gildardo Magaña, in base al quale i ribelli accettavano il nuovo stato messicano in cambio di cariche politiche locali e di un’ampia riforma agraria, finalmente «ufficiale», che eliminava le haciendas zuccheriere a beneficio dei villaggi. Il vecchio sogno di Zapata era stato realizzato, almeno in parte. Morelos fu la sede pionieristica della grande ridistribuzione di terre che negli anni venti e trenta avrebbe
trasformato la campagna messicana, con gli ejidos (le proprietà comunali nate dalla riforma agraria) che andarono a sostituire le grandi haciendas. I veterani zapatisti svolsero un ruolo chiave nella politica locale: alcuni perseguirono i vecchi obiettivi del movimento mentre altri, come il figlio maggiore di Zapata, Nicolás, divennero gli opportunisti notabili del nuovo ordine.
Dalla storia alla leggenda
Zapata non vide nulla di tutto ciò. Secondo la leggenda non morì nel 1919, ma sopravvisse all’agguato e continuò a montare il suo cavallo bianco tra le alture di Morelos. Tra i tanti eroi della Rivoluzione messicana, Zapata divenne il più ammirato, seguito dal suo alleato Pancho Villa, morto anch’egli giovane, tradito in un’imboscata nel 1923. Come conferma l’esempio di Che Guevara, una morte precoce e violenta favorisce la canonizzazione politica. Col tempo la rivoluzione che Zapata aveva contribuito ad avviare perse il suo carattere radicale e popolare. Negli anni quaranta e cinquanta la riforma agraria rallentò con il crescere dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, e la protesta contadina riprese vigore: un veterano zapatista, Rubén Jaramillo, guidò una rivolta nelle terre di Zapata e fu ucciso dall’esercito nel 1962.
Allo scoppio di un’insurrezione contadina e indigena nello stato meridionale del Chiapas, trent’anni dopo, i ribelli assunsero il nome di Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN). Ciò conferma la reputazione di Zapata in qualità di eroe popolare nazionale. Ma indica anche che, un secolo dopo la sua morte, in un Messico urbanizzato e industriale, Zapata ha smesso di essere una figura storica ed è diventato un simbolo ormai svincolato dal legame con la sua epoca e la sua terra.