DA RIFUGIO ANTI-AEREO A CAMPO DI PRIGIONIA. DA MAGAZZINO PER LA FRUTTA A NIGHT CLUB: MILLE VITE DI UN BUNKER
si sono occupati gli architetti tedeschi Jens Casper e Petra Petersson. Poi i proprietari l’hanno riempito con circa 700 opere di un’ottantina di artisti internazionali dagli anni Novanta a oggi. Superata la pesante porta d’accesso blindata, si cammina per nudi corridoi punteggiati di fori di proiettili e senza altra illuminazione se non quella artificiale per accedere all’intera esposizione, che cambia ogni quattro anni. L’attuale resterà fino al 2016 ed è visitabile con tour guidati di un’ora e mezza (12 euro, sammlung-boros.de) cui hanno partecipato anche celebrity come Tom Hanks. Si passa da We the people di Danh Vo, una sorta di «scomposizione» della Statua della Libertà, alla sfera in metallo e specchi di Olafur Eliasson, per arrivare alla scultura cinetica di Michael Sailstorfer che si autodistrugge.
NIENTE TARGHETTE a precisare nomi e date di opere e artisti: «Non è un museo» tengono a precisare i fondatori. «Non abbiamo la pretesa di mostrare il meglio dell’arte di un determinato periodo. Il bello delle collezioni private è che possono fare degli errori, mostrare gusti personali. Abbiamo molti artisti di cui si parla poco. Forse non resteranno alla storia, ma sono importanti per noi».
Quello che resterà nella storia è di certo la sede della galleria, il Reichsbahnbunker, motivo principale per cui oltre 120 mila persone l’hanno visitata tra il 2008, anno dell’apertura, e il 2012. Costruito nel 1942 su disegno dell’architetto Karl Bonatz, sotto la supervisione di Albert Speer, ministro degli armamenti della Germania nazista, dopo l’ingresso a Berlino dell’armata Rossa fu utilizzato come campo di concentramento per i prigionieri di guerra. Più tardi le stanze fredde e umide del «banana bunker» divennero un magazzino per la conservazione della frutta importata da Cuba. La svolta artistica risale agli anni immediatamente successivi alla caduta del Muro, quando venne «occupato» dagli artisti emergenti che lo trasformarono in spazio per performance d’avanguardia e, di notte, in night club underground famoso per i suoi party fetish accompagnati da musica techno.
«Non si può dimenticare il passato quando si vive in una costruzione così mostruosa che emana una tale severità» spiega Karen Boros. Ma grazie alla trasformazione in galleria nel bunker si respira anche la bellezza: «C’è gente che vende e compra opere come se fossero azioni. Noi non ci separeremmo mai dalle nostre».
IL PRIMO IMPATTO è quasi sconvolgente: decine di coloratissimi apecar che ronzano dappertutto, il centro di Lisbona che per qualche istante sembra magicamente catapultato nel Sud-est asiatico. La storia dei tuk tuk portoghesi comincia nel 2010, quando l’imprenditore Renato Ladeiro torna da un viaggio in Thailandia con un’idea in testa: esportare i taxi a tre ruote a Coimbra. Dal 2012, quando compaiono anche nella capitale, è un’invasione. Non esistono numeri uffciali – le compagnie hanno solamente un obbligo di registrazione – ma pare che in agosto la città brulicasse di oltre 250 tuk tuk.
«Lisbona ha strade strette, in salita. I pullman turistici si fermano ai piedi delle colline e camminare su e giù tutto il giorno è faticoso: il tuk tuk è mezzo ideale» spiega João Túbal. La sua Eco Tuk Tours impiega in alta stagione nove mezzi elettrici e 12 persone: autisti giovani, laureati e poliglotti, che accompagnano i visitatori dall’alfama al Bairro Alto. «Cos’è più interessante, farsi raccontare la città da una guida monocorde o da un ragazzo simpatico?» provoca Túbal.
Il successo vorticoso dei tuk tuk ha creato loro più di un nemico. In prima fla, ovvio, ci sono i taxi tradizionali, che lamentano la mancanza di regole: se nelle metropoli di mezzo mondo il loro nemico numero uno è Uber, qui in cima alla lista ci sono gli apecar. E in attesa che l’amministrazione comunale metta un po’ di ordine, capita pure che qualcuno decida di fare da sé (come il tassista che, a giugno, ha aggredito con un martello un «tuktukista»).
Scoprire Lisbona in tuk tuk costa da 50 euro l’ora per sei persone e le compagnie offrono anche tour su misura. «Il mio preferito è quello che segue il tragitto del tram 28» consiglia Ricardo Carvalho. Ha 31 anni, parla cinque lingue e lavorava come guida, fnché non si è stancato dei grupponi organizzati. Ora passa le giornate arrampicandosi con l’apecar per le viuzze della sua città: «I turisti più esigenti sono i francesi, si presentano con una lista di cose da vedere lunga così!» dice. «Gli italiani sono più rilassati: se propongo di fermarci per un café com leite, non dicono mai di no...».