I movimenti fondamentalisti non possono cancellare il lato migliore dell’islam, che è anche tenerezza, perdono, uguaglianza e libertà
Ad arrovellarsi sul signifcato del Corano sono i musulmani: un miliardo e mezzo di «sottomessi all’islam» (arabi, turchi, iracheni, pachistani, afghani, cinesi, indiani, indonesiani, africani, cittadini dell’ex Urss e non solo) in tensione tra loro per motivi etnici (come i curdi in Medio Oriente oppure i berberi nel Maghreb), religiosi (come i sunniti e gli sciiti, gli aderenti alle infnite scuole coraniche, gli esoterici, i mistici, eccetera) e sociologici (tradizionalisti e modernizzatori, integralisti e occidentalizzati).
IL CORANO è SCRITTO IN ARABO ma solo un quinto di tutti i musulmani è composto da arabi. Gli Stati con una popolazione a maggioranza musulmana sono circa una cinquantina, diversissimi tra loro per clima, estensione, densità demografca, composizione per classi di età, tasso di occupazione, distribuzione della ricchezza e regime politico. Il minimo comun denominatore di tutti questi Paesi è il monoteismo, il continuo riferimento ai principi fondamentali dell’islam, la tensione essenziale fra tradizione e innovazione che, in alcuni casi, tracima in lotte fratricide. Ne deriva una condizione sociale connotata da integralismo, minima libertà individuale, bassa libertà di espressione, accentuato maschilismo e analfabetismo diffuso.
PUR DI CONTENERE L’ISLAM POLITICO, condizionare il mercato petrolifero, tenere in piedi lo Stato d’israele o affossarlo, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia da una parte, la Russia e ora la Cina dall’altra, non hanno esitato ad allearsi anche con i regimi islamici autoritari, spalleggiandoli prima e rovesciandoli dopo, con esiti complessivi sempre più disastrosi: rivolte cruente, instabilità, emigrazione, rigurgiti militaristi, disorientamento, energie sprecate.
La bassa età media, la forte disoccupazione giovanile, l’alto livello di corruzione, la pretesa introduzione delle «repubbliche ereditarie», l’assenza di democrazia, l’infmo tasso di partecipazione delle donne alla produzione e alla vita sociale, l’arretratezza della ricerca scientifca, la chiusura nei confronti delle correnti culturali esterne, il senso di ingiustizia di fronte ai privilegi sfacciati delle oligarchie corrotte e violente determinano una perenne instabilità politica che, negli anni più recenti, è debordata in moti come la «rivoluzione dei gelsomini» scoppiata in Tunisia, quella di piazza Tahrir in Egitto e altre ancora. Queste rivolte, a loro volta, hanno determinato la caduta di alcuni regimi e lo strascico disastroso delle guerre civili.
APPROSSIMATIVAMENTE, possiamo distinguere musulmani estremisti fno al terrorismo; musulmani radicali, ortodossi e tradizionalisti; musulmani laici e razionalisti; musulmani scettici, tiepidi, agnostici, miscredenti. Quanti siano gli apocalittici, e quanti i moderati, è diffcile dire. Per gli apocalittici il jihad, che loro interpretano come guerra santa contro l’occidente, rappresenta l’unica via per difendere il mondo musulmano dal contagio ideologico, politico, esistenziale degli infedeli e per instaurare uno Stato islamico basato sulla fede in Dio, sullo sviluppo della dimensione interiore del cittadino, sulla giusta e perfetta uguaglianza democratica, sulla solidarietà sociale.
MA L’ISLAM, secondo la spiegazione che ne fornisce la femminista marocchina Fatema Mernissi nel suo saggio Islam e democrazia (Giunti) non è solo violenza ma anche rahma, cioè sensibilità, tenerezza e perdono; è musãvãt, cioè uguaglianza; è libertà di opinione (ra’y) e creatività (ibdã).
Cosa, dunque, possiamo imparare dall’islam, una volta rifutati i suoi risvolti inaccettabili per noi occidentali? L’elenco è ricco. Possiamo imparare la discrezione, il pudore, il silenzio, l’emozione, l’affettività, la capacità di indignarsi fno alla collera, lo slancio mistico, l’introspezione, la misericordia, la dolcezza, la sensualità, la tenerezza, la sensibilità, la solidarietà, il perdono, l’uguaglianza, la creatività, il benessere della collettività anteposto al tornaconto personale, la generosità, la carità, l’equità, il rifuto della competitività, lo spirito egalitario, la severità etico-morale, l’importanza conferita al gruppo, il distacco dai beni terreni e la condanna dell’amore smodato per la ricchezza, la solidarietà verso i bisognosi, il contributo alle opere di pubblica utilità, l’onesto pagamento delle tasse, il distacco del corpo e della mente dalle cose terrene. Tutto questo, senza nessuna eroica privazione, senza nessun masochistico disprezzo per i piaceri della vita.