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«IO CI METTO LA FACCIA!» S

Di Andrea Rossi

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ONO TANTI e sempre più sfrontati, sono «quelli che ci mettono la faccia»: giovani, meno giovani, di destra, di sinistra e anche di centro. Di mestiere, fanno i politici, si occupano di scuola, sanità, lavoro, si occupano della nostra vita. A giudicare dalle recenti tornate elettorali, non sembrano godere di grandissim­a popolarità, ma guai a ricordargl­ielo. Potrebbero insultarvi, salvo poi, naturalmen­te, metterci la faccia.

«Io ci metto la faccia!» è il loro grido di battaglia, consumato in favore di telecamera, petto in fuori e pancia in dentro, come si conviene all’eroe che si erge a baluardo dell’umanità: per fortuna che c’è lui, che ci mette la faccia... Già, ma che cosa ci dovrebbe mettere? Un piede? Un rene? Una parte più intima? Le analisi del sangue? La dichiarazi­one dei redditi? (No, quella meglio di no).

A furia di sentirle ripetere, in maniera quasi ossessiva, le parole perdono spesso il loro signifcato. Che cosa vuol dire, a ben guardare, «metterci la faccia»? Una volta, per garantire l’onestà propria o di un amico, si metteva la mano sul fuoco. Oggi, sarà un caso, si preferisce metterci la faccia, ma non sul fuoco. Se chiudete gli occhi e pensate ad alcune facce, converrete poi che sarebbe meglio non mettercele proprio, e da nessuna parte. E confessate: fate mai qualcosa senza metterci la faccia? Vado allo stadio, ma la faccia la lascio a casa! Esco a comprare le sigarette, ma senza la faccia: non voglio dare nell’occhio! La faccia come variabile indipenden­te: il corpo fa una cosa, la faccia un’altra e il cervello, spesso, un’altra ancora. Paghi uno, prendi tre.

Ma la cosa che più stupisce in questa lapidaria affermazio­ne, «io ci metto la faccia!» (sembra uno slogan del Ventennio), è la sua totale estraneità ai tempi che corrono. È vero che mala tempora currunt, ma senza tornare troppo indietro questa è roba dell’altro secolo, quando i computer non avevano conquistat­o le nostre vite, quando c’era la Seicento e Amintore Fanfani sedeva al Governo (lui ce l’avrebbe messa la faccia?) per l’ennesima volta. Oggi c’è Facebook, il libro delle facce, e tutti, e sottolineo tutti, ci mettono la faccia (e qualche altro dato personale, per la gioia del social network che diventa ricco, alla faccia nostra), e allora dove sarebbe il coraggio? Il beau geste? Più che un ardito, dietro quella faccia si cela un conformist­a, uno dei tanti. Ma nonostante tutto non riesci a volergli male. Anzi: quando in tivù qualche leader ci mette la faccia, gli occhi sbarrati nell’attimo del sacrifcio estremo, io mi metto di buon umore, ci rido su: mai più senza la faccia, mi dico. Mai più. Sul web impazza, si fa per dire, «Mettiamoci la faccia». Un’esortazion­e collettiva e un’iniziativa del dipartimen­to della Funzione pubblica. Lo scopo? «Rilevare in maniera sistematic­a, attraverso l’utilizzo delle interfacce emozionali (le cosiddette emoticon) la soddisfazi­one degli utenti sulla qualità dei servizi pubblici erogati allo sportello o attraverso altri canali (telefono e web)».

«Ma mi faccia il piacere!», direbbe Totò.

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