Cinquantenni, Hank e no
«ON DIRMI COME mi devo sentire. Per tutta la mia fottuta vita non hanno fatto che dirmi che sbaglio. Sono sempre io il fottuto stronzo. Poi mi guardo intorno e vedo che chiunque altro è messo infinitamente peggio di me». O no. Però. Però chi si immerge nelle sette stagioni (meglio sei, l’ultima è deplorevole; ora sono su Netflix, e sono un piccolo culto) di , riemerge più consapevole ed empatico/a verso una categoria arrogante e vituperata, ancora potente ma nevrotizzata. E preoccupata, si evince, come tutti: i maschi di mezza età intelligenti ma puerili, infedeli ma affettuosi, intimamente conservatori e personalmente autodistruttivi, e distruttivi. Come il tipo che sbaglia da tutta la vita, il protagonista della serie, Hank Moody (il David Duchovny di ), che pare un uomo di nicchia ma, a guardar bene, rappresenta tanti. E in qualche modo li rivaluta: non esalta il Moody simpatica canaglia. Mostra come una simpatica canaglia maschilista e irresponsabile possa diventare una forza di opposizione. Al conformismo della società dei maschi; all’ipocrisia, anche.
Hank, come tanti intorno ai 50 anni, ha avuto qualche occasione di avere successo e far soldi ma non se le è godute. Scrittore finito a Los Angeles a scrivere e aggiustare sceneggiature, non si riprende mai quando il suo romanzo viene trasformato nella commediola . Che ha grande successo e gli provoca crisi di fegato. Bell’uomo che, come tanti dai 50 in giù, non ha bisogno di corteggiare le donne perché le donne corteggiano lui, tenta sempre di tornare con la madre di sua figlia, Karen, bella buona e masochista. Ma ogni volta viene fuori qualcosa con un’altra, e lei soffre. Ex ragazzo di periferia che si butta nelle risse, è bravo a far male a se stesso, bevendo in modo insensato. Persona di talento, col tempo scrive sempre meno cose di valore; e sempre più è costretto, per guadagnare, a quella che José Mourinho chiamò «prostituzione intellettuale», riscrittura di film e telefilm-monnezza, biografie su commissione, dialoghi di musical.
Però è un intellettuale, uno dei pochi affacciatisi negli ultimi anni che rappresenti e racconti qualcosa. Non solo l’egoismo maschile e la continua battaglia nelle vite di maschi e femmine tra integrità e rassegnazione, e il bisogno diffuso – molto diffuso, tra coetanei/e di Hank Moody – di tenere a bada i vari mali di vivere con sostanze legali e illegali che consumate su larga scala non fanno bene. Moody – e il suo Papageno, l’imbarazzante, meraviglioso amico agente Charlie Runkle/evan Handler, marito di Charlotte in – cercano comunque, goffamente, di seguire le loro stelle polari.
«Tutto quel che conta è lei» dice il fantasma di un committente morto a Hank, e lui decide che è vero. E resta a Los Angeles perché tutto quello che conta è Becca, sua figlia (poi, da genitore singolo e non, combina dei disastri senza nome, e pure questo è realistico, si sa).