Pezzo, finitura e tessuto, e anche l’assemblaggio è poco ortodosso» dicono i due designer.
MA C’è DI PIÙ. Quasi come un osservatorio sul futuro, la galleria Dimore si pone come incubatrice di talenti, discettando di design e favorendo l’incontro tra un numero ristretto di autori emergenti e il proprio pubblico, senza mai intaccare la congruità scenografica del luogo: «Cerchiamo di scovare creativi che abbiano un’affinità vicina al nostro modo di vedere gli spazi» spiegano Emiliano Salci e Britt Moran, da sempre attivi nello scouting di giovani designer.
A testimoniarne l’impegno sul campo, l’ultima mostra, Life on Mars,ha avuto come protagonista la libera contaminazione reciproca tra la galleria e sette interessanti artisti, in uno scambio di prospettive e visioni sul futuro di materiali, forme e colori. Tanto per fare qualche nome: Omer Arbel, che esplora le qualità meccaniche, fisiche e chimiche intrinseche nei materiali come punti di partenza fondamentali per il suo lavoro; Marco Bevilacqua, classe 1970, con la sua esigenza di dare nuovo impulso all’alta qualità artigianale italiana esaltando i singoli materiali attraverso personalissime tecniche di lavorazione. E ancora Ilaria Bianchi e il suo ricontestualizzare e combinare materiali di scarto industriali e urbani con l’intento di sviluppare arredi che esprimano le implicazioni fisiche e concettuali della presenza degli scarti nelle nostre vite; Vibeke Fonnesberg Schmidt, danese, che traduce in forme geometriche composizioni complesse di lampade, caratterizzate da superfici in plexiglass trasparente e opacizzato.
È in questo scenario che elementi d’arredo in ferro corroso con inserti in argento invecchiato e ottone ossidato fanno da contralto a lacche lucide e finiture ruvide in vetroresina, mentre testimonianze tessili della produzione storica convergono in tessuti resi contemporanei anche nelle modalità di utilizzo. Eleganza autentica, imperfettamente perfetta. Sempre sia lodata.