Style

i diari della BICICLETTA

Sulle orme del ciclista olandese che ha pedalato per 17 mila chilometri da Amsterdam a Singapore. Ecco tre itinerari per tutti: dai neofiti agli scalatori.

- TESTO E FOTO DI MARTIJN DOOLAARD

SONO SALITO in sella il 16 aprile 2015. L’idea era quella di arrivare in Cina, partendo dall’europa, attraverso Turchia e Iran. Un anno intero in bicicletta, perché a metà percorso ho deciso che avrei proseguito verso l’india, spostando la mia meta finale a Singapore. Come mai la bici? Durante i miei passati viaggi, vedevo ciclisti appesantit­i dal bagaglio pedalare tra sole, neve e pioggia. Chiuso nel comfort della mia auto, con un tettuccio sopra la testa, pensavo: questi sono dei pazzi. Poi, lentamente, leggendo qualche articolo, ho iniziato a immaginare – e poi sognare – un’avventura così. La libertà, la semplicità, la possibilit­à di percorrere strade non battute, di vivere un viaggio intenso, esposto al vento, al calore, al gelo, ai suoni, ai profumi. L’essere sempre lanciati in avanti, senza mai guardare indietro. Ad affascinar­mi non era e non è tanto la bicicletta in sé, quanto il quadro complessiv­o, le possibilit­à che un viaggio su due ruote a pedali offre. Per i lettori di Style ho scelto tre percorsi di difficoltà crescente: Repubblica Ceca, un tratto semplice e adatto a tutti; Thailandia, dove il problema non sono tanto le strade quanto le temperatur­e; le montagne del Kirghizist­an, da affrontare solo se si è ben allenati. Pronti? In sella allora.

REPUBBLICA CECA.

Partito da Amsterdam, ho attraversa­to le pianure olandesi e le colline tedesche, passando dalle ciclabili dei Paesi Bassi alle rigorose strade della Germania. Una volta entrato in Repubblica Ceca, le cose sono cambiate. Addio ciclabili: da quel momento ho dovuto scegliere se essere un veicolo a motore o un pedone. Un momento pedalavo sulla superstrad­a, il momento dopo ero su una trafficata via di negozi. Il tragitto attraverso il Paese si è rivelato uno dei più semplici di tutto il mio lungo viaggio, una pedalata tranquilla che mi ha portato su e giù dalle colline. L’itinerario in Repubblica Ceca è iniziato a Stribro, non distante dal confine con la Germania, ed è finito nel piccolo villaggio di Pasohlavky, nella Moravia meridional­e, al confine con Austria e Slovacchia. Nel mezzo, Praga:

raggiunger­la è stata una gioia, perché qui avevo deciso di fermarmi per la prima vera tappa di riposo dopo 17 giorni di pedalate. Ho dormito in un hotel in Malá Strana, un gigantesco palazzo a pochi passi dalla chiesa di San Nicola. Ho lasciato il bagaglio in hotel ed è stato un vero piacere sfrecciare, su una bicicletta finalmente leggera, per le strade acciottola­te della città. Dovevo sbrigare una serie di commission­i, ma anche comprare alcuni apparecchi per la mia macchina fotografic­a. Con me ovviamente avevo del denaro: prima di partire ho risparmiat­o per riuscire a coprire le spese del viaggio, e mentre ero via sono anche riuscito ad affittare il mio appartamen­to. La bicicletta, in ogni caso, è un modo molto economico di muoversi: ancor di più se scegli di dormire in tenda, all’aperto. La campagna locale, una volta ripresa la strada, era pacifica e silenziosa. Uscendo dalle zone urbane ho incontrato piccoli villaggi, binari ferroviari abbandonat­i, sterminati campi gialli di girasoli. La gente è stata molto gentile

con me, il turista in bicicletta è sempre ben visto. Diverso il discorso per gli animali selvatici: gli incontri con loro sono stati i momenti più spaventosi del mio viaggio. In Europa ho trovato ovunque cani randagi, che possono diventare parecchio pericolosi nelle zone rurali. Ho avuto molti meno problemi con gli esseri umani… A parte qualche discussion­e con i tassisti oppure sulle tariffe degli alberghi. Nel corso dell’itinerario ho pedalato per circa 80 chilometri al giorno, fino a coprire una distanza totale di 17 mila chilometri. E sì, lungo il percorso ho incontrato molti altri ciclisti, come una coppia belga che viaggiava in tandem fino all’uzbekistan. Oppure un ragazzo olandese, Jan, che nella sua vita aveva già percorso 260 mila chilometri in tutta Europa. Non mi ha fatto paura la solitudine, nonostante mi sia effettivam­ente sentito isolato qualche volta. Mi sono goduto il tempo con me stesso: se non fai così, un’avventura del genere può essere davvero dura. Viceversa, qualche volta può essere difficile dire addio a una nuova amicizia appena stretta. Per me è stato così a Bucarest, dove ho conosciuto una ragazza che poi mi ha raggiunto per qualche giorno a Istanbul. La parte più faticosa di questo viaggio non è stata creare connession­i, ma lasciarle andare.

THAILANDIA.

Entrato nel Paese da Mae Sot, mi sono fermato brevemente nella moderna Bangkok, per riposarmi e fare un po’ di manutenzio­ne alla bici. Poi mi sono diretto a Sud, verso le spiagge, passando il distretto turistico di Cha Am e la popolosa città di Hua Hin, da dove ho proseguito verso il mare delle Andamane. In Thailandia le strade sono ben pavimentat­e, i percorsi in eccellenti condizioni e le regole rispettate da tutti. Non è certo il classico traffico asiatico cui mi sono abituato in Turchia, Iran o India, dove ancora più importante delle norme è l’intuizione. In quanto europeo, all’inizio trovavo tutto davvero caotico e insicuro: ma una volta che ti ci abitui, funziona. Anche qui, comunque, le avventure non sono mancate. Ho cercato di vivere il più possibile all’aria aperta, rinunciand­o a qualsiasi tipo di

lusso. Il lusso è nemico dell’osservazio­ne: meno hai con te, più sarai attratto dalla natura e dalla potenza dell’esperienza che stai vivendo. Gli unici oggetti fondamenta­li in un viaggio del genere sono l’iphone – per controllar­e le mappe, fare le fotografie e aggiornare i social media – e la moka per il caffè. Certo: non sempre è facile rinunciare alle comodità, in particolar­e in Thailandia dove strutture e attrezzatu­re sono ottime, di gran lunga superiori a quelle del Myanmar da cui provenivo (per contro quest’ultimo, l’iran e la Malesia sono molto meno turistici e quindi più affascinan­ti). Dopo una lunga giornata di pedalate sotto il sole tropicale, tutto quello che desideri è una stanza con aria condiziona­ta e una bella doccia. Ciononosta­nte ho quasi sempre piantato la tenda sul lido bianchissi­mo per dormire sotto le stelle: sapevo che ne sarebbe valsa la pena e infatti ho visto il paradiso, nella sua forma più pura. Nel Sud del Paese mi sono fermato a Khao Lak, Krabi, Patong e Phi Phi, la piccola isola resa famosa dal film The Beach con Leonardo Dicaprio. La

sveglia suonava alle sei, aprivo la zip della mia tenda lasciando che una fresca brezza entrasse per qualche minuto e mi godevo il panorama; poi, dopo una bella nuotata e una passeggiat­a, preparavo un porridge e un buon caffè. Non importa quante folle di turisti ci fossero: all’alba, la spiaggia è sempre tua. L’itinerario costiero in Thailandia non si è rivelato particolar­mente complicato. L’unico ostacolo in questa parte dell’asia può essere il clima davvero estremo: in Malesia mi sono trovato a pedalare con 45 gradi e un’umidità impossibil­e, a Kuala Lumpur non riuscivo a tenere gli occhi aperti per il sudore (l’iran, invece, ha temperatur­e persino più alte ma un clima più secco).

KIRGHIZIST­AN.

Ho scelto di percorrere un lungo tratto in questo Paese perché volevo provare l’esperienza di muovermi sulla neve e percorrere le strade di montagna. Non è stato semplice: non ero abbastanza equipaggia­to per le condizioni invernali e il mio sacco a pelo estivo non riusciva a tenermi sufficient­emente al caldo. Dormivo al freddo e il giorno successivo dovevo pedalare: non proprio il massimo. In realtà si è trattato di una scelta. Quando sono partito sapevo che avrei dovuto muovermi principalm­ente nei climi caldi, quindi ho deciso di evitare gli indumenti pesanti e sopportare qualche giorno di gelo. Uno dei passaggi più importanti del mio tratto in quota è stato l’arrivo sulla Strada del Pamir: oltre due mila chilometri attraverso le montagne, che corrono lungo Afghanista­n, Uzbekistan e Kirghizist­an. Sulla M41, com’è anche chiamata la Pamir Highway, il terreno varia molto: si tratta di uno dei percorsi più spettacola­ri di tutta l’asia centrale, usato per secoli dai commercian­ti, in quanto parte dell’antica Via della seta. Purtroppo sono stato sfortunato: il visto per la parte tagika mi è stato rifiutato e ho potuto attraversa­re solo il lato kirghiko della strada. Sono partito da Osh, a Sud del Paese, per arrivare al confine con il Tagikistan a 4.200 metri di altitudine; poi ho puntato verso Bishkek e da qui ho preso un volo per l’india. Il quarto giorno ho raggiunto il punto più alto del passo di Taldyk, a 3.615 metri d’altitudine. E mi

sono trovato completame­nte isolato nell’infinito. Qui il paesaggio è così remoto che il silenzio e la calma ti possono sopraffare. Freddo, erba secca, assoluta mancanza di vita: una distesa enorme, fino al Tagikistan. Niente traffico, niente vento, nulla. Soltanto il sole, la lunga strada vuota e il silenzio. Mi sono fermato per alcuni minuti ad assaporare il grande senso di pace che mi avvolgeva, mentre guardavo la vasta catena del Pamir che si apriva di fronte a me: eccolo, il tetto del mondo. Un’esperienza potente, amplificat­a dal fatto di non avere nessun essere umano attorno. La sensazione che tutto quello che vedi sia tuo. È così diverso condivider­e il panorama con altri turisti, che è quello che accade quando giri con la guida in mano. A ripensarci, durante gli ultimi giorni in Asia centrale ho pedalato nelle condizioni più estreme, dal caldo tremendo del deserto in Turkmenist­an al gelo del Pamir. Ma una delle ragioni che mi hanno spinto ad affrontare questo viaggio è stata proprio la ricerca di nuovi limiti. Ho lasciato il Kirghizist­an con una forte sensazione di compimento.

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 ??  ?? In Europa Martijn Doolaard è passato da Olanda, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Ungheria, Romania e Turchia. Sopra, una fotografia scattata a pochi giorni dall’inizio dell’avventura. Nella pagina a fianco, Praga (sopra, chilometro 1.114 del viaggio) e una strada a Trebic (chilometro 1.273). In apertura, Pasohlavky, sempre in Repubblica Ceca.
In Europa Martijn Doolaard è passato da Olanda, Germania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Ungheria, Romania e Turchia. Sopra, una fotografia scattata a pochi giorni dall’inizio dell’avventura. Nella pagina a fianco, Praga (sopra, chilometro 1.114 del viaggio) e una strada a Trebic (chilometro 1.273). In apertura, Pasohlavky, sempre in Repubblica Ceca.
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 ??  ?? Martijn Doolaard è entrato in Thailandia dal Myanmar, proseguend­o poi per la Malesia. Sopra, quattro immagini scattate ad Ao Nang: nel mare delle Andamane, le barche usano luci verdi per attirare i pesci. Nella pagina a fianco, Cha Am (sopra) e il viaggio in barca verso la spiaggia di Railay.
Martijn Doolaard è entrato in Thailandia dal Myanmar, proseguend­o poi per la Malesia. Sopra, quattro immagini scattate ad Ao Nang: nel mare delle Andamane, le barche usano luci verdi per attirare i pesci. Nella pagina a fianco, Cha Am (sopra) e il viaggio in barca verso la spiaggia di Railay.
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Le montagne innevate viste da Sary Tash. Il Kirghizist­an ha fatto parte dell’unione Sovietica fino al 1991: il Paese è puntaggiat­o da ex villaggi industrial­i costruiti nel mezzo delle montagne e oggi abbandonat­i (nella pagina a fianco, Karakol).
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 ??  ?? One year on a bike (Gestalten) è il libro in cui l’olandese Martijn Doolaard racconta il suo viaggio in bicicletta da Amsterdam a Singapore.
One year on a bike (Gestalten) è il libro in cui l’olandese Martijn Doolaard racconta il suo viaggio in bicicletta da Amsterdam a Singapore.

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