Il futuro senza lavoro
Oggi abbiamo più schiavi (elettronici) degli antichi greci. Ma continuiamo a preoccuparci di lavorare. Qualcosa nella nostra società non funziona.
L’occupazione è in caduta libera. Non importa quanto possono crescere le economie. Siamo di fronte a un cambiamento epocale: le nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale e una crescita inarrestabile della popolazione. Domenico De Masi, sociologo, che studia il problema da 40 anni, ha una soluzione. Smettere (progressivamente) di faticare e rifondare le comunità sul sapere e la conoscenza. Come l’atene di Socrate.
OCCUPAZIONE : il problema principale di questi anni. L’economia non dà risposte. La politica non sa che fare. Perché non si vuole affrontare il problema con la giusta prospettiva. Lasciando perdere gli slogan e mettendo le mani ai numeri. Come ha fatto il sociologo del lavoro Domenico De Masi, che aiutato da un team di 11 esperti ha prodotto uno studio che ha fatto molto scalpore: Lavoro 2025. Il futuro dell’occupazione (e della disoccupazione) (Marsilio). Quale futuro? «Per elaborare il modello di una nuova società bisogna studiare quelli su cui sono state costruite le società precedenti».
Siamo arrivati a fasi di mutamenti strutturali dove la crisi è passata ma gli effetti positivi sull’occupazione non si sono sentiti. Anzi... E non è solo un problema italiano ma mondiale.
C’è un attacco della tecnologia al lavoratore umano per fasce e ora tocca agli intellettuali. Prima era toccato ai lavori fisici, poi, con la tecnologia digitale, ai cosiddetti colletti bianchi, e ora, con l’intelligenza artificiale, per la prima volta si elimina il lavoro creativo. Qui è cambiata tutta la musica perché serve pochissima gente per costruire queste macchine intelligenti che però sanno fare moltissime cose al posto di altrettanti lavoratori. Per la prima volta la tecnologia non creerà più lavoro di quanto ne elimina. Inoltre, mentre le macchine sostituiscono alcune attività, la popolazione aumenta: tra sette anni saremo un miliardo di più.
Le risposte dei governi non sono state univoche, e nonostante il lavoro sia al centro di tutte le campagne elettorali sembra che il problema non sia stato risolto.
In Italia abbiamo provato con la flessibilità, con la legge Biagi, con il Jobs Act e la cancellazione dell’articolo 18. In altri Paesi, come Germania e Francia, si sono invece ridotti gli orari di lavoro. Le do alcuni dati: un italiano lavora in media 1.765 ore, un francese 1.482, un tedesco 1.371. Ecco la vera causa per cui qui abbiamo il 12 per cento di disoccupati, in Francia il nove e in Germania addirittura il 3,8. Noi lavoriamo 44 miliardi di ore, calcolate su 23 milioni di lavoratori. Se lavorassimo come i francesi avremmo 27 milioni di posti in più, se lavorassimo come i tedeschi addirittura 29 milioni. Non solo scomparirebbero i disoccupati ma avremmo lavoro anche per gli immigrati.
C’è chi dice che queste sono teorie, che nella realtà bisogna guardare all’efficienza del lavoro.
Io credo che, riducendo il lavoro, aumenterebbe la produttività. I tedeschi, che lavorano 354 ore meno di noi, producono una ricchezza pro-capite di 48 mila euro, noi invece 35.865 euro. Come vede, meno si lavora e più si è efficienti. Se si è bene organizzati, con meno ore si riesce a ottenere di più perché si è meno stanchi.
Però se il progresso tecnologico e l’aumento della popolazione continuano con questi ritmi non rischiamo di ridurre il lavoro così tanto che tutto il sistema economico crollerà?
Noi siamo già in una forma di collasso perché sappiamo produrre la ricchezza ma non la sappiamo distribuire. Il neoliberismo produce come effetto non voluto ma ormai dimostrato una
riduzione progressiva dei detentori di ricchezza. Dieci anni fa 385 persone possedevano la ricchezza di metà umanità. Oggi sono solo otto. Potranno pure essere degli spendaccioni ma non potranno mai comprare scarpe, calzini e maglie come fanno 3,6 miliardi di persone. È in atto una vera guerra di classe dei ricchi contro i poveri, come dice Warren Buffett, il terzo uomo più ricco del mondo. E così si lascia spazio ai populismi. Oggi tutti i leader politici sono populisti: passano più tempo in televisione ad arringare il popolo che nel loro ufficio a governare. Del resto, non hanno nessun modello di vita da prospettare ai cittadini. Oggi la tendenza è rimuovere le ideologie a favore di una libertà di pensiero (contro gli integralismi) da un lato, e dall’altro a lasciare il potere ai «pratici» che sanno fare, senza teorie.
Tutte le società precedenti sono nate in base a un modello. Il sacro romano impero è fondato sul modello cristiano. Gli stati islamici sul Corano, lo stato liberale dell’ottocento viene dal pensiero di Montesquieu e di Adam Smith, la Russia sovietica da quello di Karl Marx e Friedrich Engels. Il modello è stato sempre fornito dagli intellettuali e poi implementato dai politici. La nostra attuale società postindustriale è nata da una spinta naturale di progresso tecnologico, globalizzazione e mass media. Senza un modello teorico di riferimento è impossibile capire se un telegiornale è vero o falso, se una legge è buona o cattiva, se un politico è di destra o di sinistra, se uno è vivo o morto. Per 17 anni abbiamo discusso se Eluana Englaro era viva o morta.
Lei cosa propone?
Di tutti i modelli del passato nessuno è perfetto ma il più adatto a una situazione con poco lavoro è quello dell’antica Grecia. È l’unico in cui l’intera popolazione libera non lavorava. Lavoravano i 250 mila schiavi che saranno le macchine del futuro. Come riempivano il loro tempo i 60 mila abitanti di Atene? Con la guerra, quando era necessario, con la ginnastica, ma soprattutto con la cultura. Non c’era nemmeno un analfabeta e l’intero popolo era obbligato ogni anno a seguire almeno 35 rappresentazioni teatrali.
Ma questo è un modello applicabile a sette miliardi di persone? E come si sosterrebbe il sistema economico?
Sarebbe certamente applicabile ai 35 Paesi dell’ocse che, da soli, già superano il miliardo di abitanti. Se ci si concentra sulla riduzione degli orari di lavoro il problema economico è temporaneo perché poi aumenterà la produttività con le macchine, capaci di fornire quasi tutti i beni e i servizi che ci occorrono. Ma bisognerà anche creare una società dove la cultura e la conoscenza diventino il primo obiettivo per permetterci di vivere al meglio il tempo libero e di elaborare idee creative. La cultura intesa come nell’antica Grecia, che insegna a non avere sempre più cose ma a dare sempre più senso a ciò che si ha. La soluzione è nella formazione. Scuola, media e rete devono prepararmi a fruire di beni immateriali e creativi, all’opposto dell’accumulazione materialista. Noi abbiamo più schiavi elettronici dei greci e potremmo vivere con molta più leggerezza.