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Il futuro senza lavoro

Oggi abbiamo più schiavi (elettronic­i) degli antichi greci. Ma continuiam­o a preoccupar­ci di lavorare. Qualcosa nella nostra società non funziona.

- DI GIANEMILIO MAZZOLENI - FOTO DI MASSIMO SIRAGUSA

L’occupazion­e è in caduta libera. Non importa quanto possono crescere le economie. Siamo di fronte a un cambiament­o epocale: le nuove tecnologie, l’intelligen­za artificial­e e una crescita inarrestab­ile della popolazion­e. Domenico De Masi, sociologo, che studia il problema da 40 anni, ha una soluzione. Smettere (progressiv­amente) di faticare e rifondare le comunità sul sapere e la conoscenza. Come l’atene di Socrate.

OCCUPAZION­E : il problema principale di questi anni. L’economia non dà risposte. La politica non sa che fare. Perché non si vuole affrontare il problema con la giusta prospettiv­a. Lasciando perdere gli slogan e mettendo le mani ai numeri. Come ha fatto il sociologo del lavoro Domenico De Masi, che aiutato da un team di 11 esperti ha prodotto uno studio che ha fatto molto scalpore: Lavoro 2025. Il futuro dell’occupazion­e (e della disoccupaz­ione) (Marsilio). Quale futuro? «Per elaborare il modello di una nuova società bisogna studiare quelli su cui sono state costruite le società precedenti».

Siamo arrivati a fasi di mutamenti struttural­i dove la crisi è passata ma gli effetti positivi sull’occupazion­e non si sono sentiti. Anzi... E non è solo un problema italiano ma mondiale.

C’è un attacco della tecnologia al lavoratore umano per fasce e ora tocca agli intellettu­ali. Prima era toccato ai lavori fisici, poi, con la tecnologia digitale, ai cosiddetti colletti bianchi, e ora, con l’intelligen­za artificial­e, per la prima volta si elimina il lavoro creativo. Qui è cambiata tutta la musica perché serve pochissima gente per costruire queste macchine intelligen­ti che però sanno fare moltissime cose al posto di altrettant­i lavoratori. Per la prima volta la tecnologia non creerà più lavoro di quanto ne elimina. Inoltre, mentre le macchine sostituisc­ono alcune attività, la popolazion­e aumenta: tra sette anni saremo un miliardo di più.

Le risposte dei governi non sono state univoche, e nonostante il lavoro sia al centro di tutte le campagne elettorali sembra che il problema non sia stato risolto.

In Italia abbiamo provato con la flessibili­tà, con la legge Biagi, con il Jobs Act e la cancellazi­one dell’articolo 18. In altri Paesi, come Germania e Francia, si sono invece ridotti gli orari di lavoro. Le do alcuni dati: un italiano lavora in media 1.765 ore, un francese 1.482, un tedesco 1.371. Ecco la vera causa per cui qui abbiamo il 12 per cento di disoccupat­i, in Francia il nove e in Germania addirittur­a il 3,8. Noi lavoriamo 44 miliardi di ore, calcolate su 23 milioni di lavoratori. Se lavorassim­o come i francesi avremmo 27 milioni di posti in più, se lavorassim­o come i tedeschi addirittur­a 29 milioni. Non solo scomparire­bbero i disoccupat­i ma avremmo lavoro anche per gli immigrati.

C’è chi dice che queste sono teorie, che nella realtà bisogna guardare all’efficienza del lavoro.

Io credo che, riducendo il lavoro, aumentereb­be la produttivi­tà. I tedeschi, che lavorano 354 ore meno di noi, producono una ricchezza pro-capite di 48 mila euro, noi invece 35.865 euro. Come vede, meno si lavora e più si è efficienti. Se si è bene organizzat­i, con meno ore si riesce a ottenere di più perché si è meno stanchi.

Però se il progresso tecnologic­o e l’aumento della popolazion­e continuano con questi ritmi non rischiamo di ridurre il lavoro così tanto che tutto il sistema economico crollerà?

Noi siamo già in una forma di collasso perché sappiamo produrre la ricchezza ma non la sappiamo distribuir­e. Il neoliberis­mo produce come effetto non voluto ma ormai dimostrato una

riduzione progressiv­a dei detentori di ricchezza. Dieci anni fa 385 persone possedevan­o la ricchezza di metà umanità. Oggi sono solo otto. Potranno pure essere degli spendaccio­ni ma non potranno mai comprare scarpe, calzini e maglie come fanno 3,6 miliardi di persone. È in atto una vera guerra di classe dei ricchi contro i poveri, come dice Warren Buffett, il terzo uomo più ricco del mondo. E così si lascia spazio ai populismi. Oggi tutti i leader politici sono populisti: passano più tempo in television­e ad arringare il popolo che nel loro ufficio a governare. Del resto, non hanno nessun modello di vita da prospettar­e ai cittadini. Oggi la tendenza è rimuovere le ideologie a favore di una libertà di pensiero (contro gli integralis­mi) da un lato, e dall’altro a lasciare il potere ai «pratici» che sanno fare, senza teorie.

Tutte le società precedenti sono nate in base a un modello. Il sacro romano impero è fondato sul modello cristiano. Gli stati islamici sul Corano, lo stato liberale dell’ottocento viene dal pensiero di Montesquie­u e di Adam Smith, la Russia sovietica da quello di Karl Marx e Friedrich Engels. Il modello è stato sempre fornito dagli intellettu­ali e poi implementa­to dai politici. La nostra attuale società postindust­riale è nata da una spinta naturale di progresso tecnologic­o, globalizza­zione e mass media. Senza un modello teorico di riferiment­o è impossibil­e capire se un telegiorna­le è vero o falso, se una legge è buona o cattiva, se un politico è di destra o di sinistra, se uno è vivo o morto. Per 17 anni abbiamo discusso se Eluana Englaro era viva o morta.

Lei cosa propone?

Di tutti i modelli del passato nessuno è perfetto ma il più adatto a una situazione con poco lavoro è quello dell’antica Grecia. È l’unico in cui l’intera popolazion­e libera non lavorava. Lavoravano i 250 mila schiavi che saranno le macchine del futuro. Come riempivano il loro tempo i 60 mila abitanti di Atene? Con la guerra, quando era necessario, con la ginnastica, ma soprattutt­o con la cultura. Non c’era nemmeno un analfabeta e l’intero popolo era obbligato ogni anno a seguire almeno 35 rappresent­azioni teatrali.

Ma questo è un modello applicabil­e a sette miliardi di persone? E come si sosterrebb­e il sistema economico?

Sarebbe certamente applicabil­e ai 35 Paesi dell’ocse che, da soli, già superano il miliardo di abitanti. Se ci si concentra sulla riduzione degli orari di lavoro il problema economico è temporaneo perché poi aumenterà la produttivi­tà con le macchine, capaci di fornire quasi tutti i beni e i servizi che ci occorrono. Ma bisognerà anche creare una società dove la cultura e la conoscenza diventino il primo obiettivo per permetterc­i di vivere al meglio il tempo libero e di elaborare idee creative. La cultura intesa come nell’antica Grecia, che insegna a non avere sempre più cose ma a dare sempre più senso a ciò che si ha. La soluzione è nella formazione. Scuola, media e rete devono prepararmi a fruire di beni immaterial­i e creativi, all’opposto dell’accumulazi­one materialis­ta. Noi abbiamo più schiavi elettronic­i dei greci e potremmo vivere con molta più leggerezza.

 ??  ?? Relax nei parchi acquatici, visite alle città d’arte, escursioni in montagna: la serie Leisure time racconta cosa facciamo quando non lavoriamo.
Relax nei parchi acquatici, visite alle città d’arte, escursioni in montagna: la serie Leisure time racconta cosa facciamo quando non lavoriamo.
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Come trascorria­mo il nostro tempo libero? Il fotografo Massimo Siragusa ha girato l’italia per scoprirlo.
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 ??  ?? Gli scatti di queste pagine sono stati premiati con il secondo posto al World Press Photo 2008, nella categoria Arts and entertainm­ent.
Gli scatti di queste pagine sono stati premiati con il secondo posto al World Press Photo 2008, nella categoria Arts and entertainm­ent.

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