Andrei Ionita
«Sento un fuoco slavo dentro; ma a Berlino studio e vivo meglio»
VIOLONCELLISTA «nato a Bucarest. A cinque anni ho iniziato col piano, tre anni dopo, incoraggiato da una maestra, mi sono innamorato del violoncello. Dalla prima lezione ho saputo: questo è quel che voglio fare per il resto della mia vita».
«Mai conosciuto mio padre, scomparso quando avevo un anno; mia madre ha fatto tutto. Cantava in un coro e ha sostenuto tutta la mia educazione. Mi ha mandato alle migliori scuole di Bucarest, e poi a 18 anni mi son trasferito a Berlino. Ci ho messo un anno ad ambientarmi e parlare il tedesco, ma è la capitale del mondo della musica classica. Sette/otto orchestre professionali, una scena ricchissima. E poi ho ottimi amici qui, so dove godermi la vita. Vivo nell’elegante quartiere di Charlottenburg e non dirò quali club frequento».
«Tra gli imprinting musicali, il concerto per violoncello di Antonin Dvorák; certo, noi cellisti non abbiamo il repertorio di cui dispongono i pianisti. Una manciata di concerti per violoncello amati da tutti. Ammiro solisti come Danil Shafran, Jacqueline Du Pré e Steven Isserlis, con cui ho avuto la fortuna di suonare. Sento un legame forte con la musica di Dmitrij Šostakovic; anche quando tre anni fa vinsi il premio a lui intitolato (il massimo in questo ambito, ndr) mi son venute le lacrime agli occhi a eseguire la sua musica. Nel repertorio slavo mi sento in contatto con quel grande fuoco interiore; è musica con molta anima, tragica ma non senza un raggio di speranza».
« La vita di un solista classico può essere solitaria. Se non sei pronto ad affrontare voli all’alba, lunghe trasferte, a livello fisico e mentale non fa per te. Devi essere nato pronto. C’è chi non ce la fa senza le pillole; io sono fortunato a non averne bisogno. Amo le grandi opportunità: suonare a Verbier o alla Carnegie Hall di New York, in Giappone o al teatro Marinsky di Pietroburgo, o con le filarmoniche di Berlino e Monaco: mi piace ritrovare tanti amici in tutti questi posti dove si fa grande musica. Magari i viaggi sono solitari, ma poi quando arrivi non sei mai davvero solo».