U
N test per la rivelazione diretta delle particelle di materia oscura consiste nel farle interagire con i nuclei di un materiale che serve da bersaglio, come stanno provando a fare i ricercatori dei Laboratori nazionali del Gran Sasso.
troppo leggeri per costituire una parte significativa della materia oscura e, una volta inseriti nei modelli della formazione delle strutture a larga scala, questi danno risultati diversi rispetto alla realtà. Allorché si procede per tentativi che permettano di restringere progressivamente il campo sulla base principalmente di due parametri: la massa di queste particelle (che si misura in Giga-electron-volt) e la sezione d’urto (espressa in centimetri quadri) ossia la probabilità che esse interagiscano con la materia. Il modello WIMP ad esempio ritiene che la massa sia all’incirca di 100 GEV e che la sezione d’urto sia inferiore a 10-40 cm2. Eppure esperimenti diversi, utilizzando rivelatori più grandi oppure sensibili a una soglia energetica inferiore, esplorano scenari diversi. E una nuova generazione di rivelatori potrebbe mostrare la direzione da cui proviene la particella di materia oscura che rimbalza contro un atomo bersaglio. Solo incrociando i diversi dati ottenuti potremo piano piano escludere certe caratteristiche e rendere, entro pochi anni, sempre più nitido l’identikit.
Non possiamo nemmeno escludere l’ipotesi che la materia oscura non esista affatto. I modelli MOND ad esempio spiegano i fenomeni gravitazionali che non seguono le leggi della dinamica newtoniana supponendo che l’accelerazione sia diversa a una scala elevata, cioè quando si applica a distanze gigantesche come quelle delle galassie. Certo al momento nessuna teoria alternativa a una materia oscura particellare è in grado di spiegare in modo soddisfacente tutte le evidenze, come l’esistenza di anisotropie nel fondo a microonde, però la scienza non è una fede, è una continua ricerca per capire la natura. Specie quando, come in questo caso, quello che conosciamo è così esiguo.