Style

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HUCK D, voce dei Public Enemy, seminale band hip hop statuniten­se, era convinto che il rap fosse la CNN dei neri afroameric­ani. Mai però si sarebbe immaginato che proprio l’hip hop avrebbe avuto un ruolo determinan­te nelle rivoluzion­i delle primavere arabe. Nel novembre 2010 la canzone Rayes Lebled del rapper El Général, una geremiade contro l’ex presidente tunisino Zine El-abidine Ben Ali, riscosse un grande successo tra i giovani e grazie a Youtube si impose come «sigla» della nascente protesta. Una febbre che si diffuse in tutto il mondo arabo, dalla Libia alla Palestina, passando ovviamente per l’egitto. Qui fu la canzone Not your prisoner («Voglio la mia nazione libera dall’oppression­e / voglio la mia nazione libera dal male») a diventare uno dei simboli della protesta anti Mubarak. Ad eseguirla erano gli Arabian Knightz, un collettivo hip hop che divenne famoso a livello mondiale quando la star afroameric­ana Lauryn Hill accettò di aggiungere la sua voce al brano Rebel. Arabian Knightz era una filosofia di vita, una open source connessa a una community di rapper che comunicava­no tra loro, si davano una mano, si frequentav­ano, si scambiavan­o i beat e si aiutavano nella composizio­ne dei pezzi. Il loro primo album, uscito nell’agosto 2012 sull’onda del successo di Rebel, si fece conoscere grazie a una distribuzi­one digitale effettuata tramite itunes e Amazon, mentre all’interno dell’egitto un network di «guerrilla distributi­on» fece circolare copie fisiche del cd tra i fan del collettivo. L’album si chiama Uknighted State of Arabia e le canzoni parlano di unità da parte di tutti i giovani del mondo e auspica la crescita di piazze Tahrir non solo nei Paesi arabi, ma anche a Madrid, New York, Parigi... I testi parlano di molestie sessuali contro le donne, di droga, della corruzione e c’è persino una canzone contro i Fratelli Musulmani, che vengono presentati come persone che usano la religione per controllar­e la mente della gente...

Esplicito nelle sue rime anche Ramy Essam che nella tenda che aveva montato in piazza Tahrir compose Irhal (Vattene!), un inequivoca­bile «consiglio» indirizzat­o al presidente Mubarak. Consiglio che non è stato preso bene perché nei mesi successivi alla prima ondata di proteste, che portarono alla caduta di Mubarak, Essam fu sequestrat­o e torturato dalle forze di sicurezza. L’ONG internazio­nale Freemuse gli assegnò il premio Freemuse Award, destinato ogni anno all’artista la cui opera meglio rappresent­a l’ideale di usare la musica per far progredire i diritti umani, sociali e politici in una società. Nel momento in cui a Stoccolma ritirava il premio, piazza Tahrir era avvolta in una nube di gas lacrimogen­i, proiettili e sangue. Il giorno seguente, appena atterrato al Cairo, Ramy corse nella piazza, dove risiedette per le successive due settimane, allontanan­dosi solo per le interviste e per andare in studio a registrare il suo disco. Mohamed El Deeb, in arte Deeb, pizzetto e occhiali, look da professore più che da rapper incallito, autore di Masrah Deeb, uno dei brani più gettonati ai tempi di piazza Tahrir, è un faraone delle rime. «Tra gli egiziani» dichiarò «sta diventando sempre maggiore la consapevol­ezza del fatto che l’hip hop non è sempliceme­nte una creazione dell’occidente, ma è una dimostrazi­one vivente del potere della poesia, e gli arabi amano molto la poesia».

I VALORI PORTATI ALLA LUCE dagli Arabian Knightz, da Ramy Essam e da Deeb trasformar­ono alcune loro canzoni in vessilli della rivoluzion­e contro Hosni Mubarak. Una sorta di nemesi se si pensa che quando nel 2005 lo stesso Mubarak, cedendo alle pressioni che chiedevano una democratiz­zazione del Paese, richiese un emendament­o costituzio­nale in base al quale il presidente dell’egitto fosse eletto tra più candidati (sino ad allora era votato dal parlamento e confermato tramite referendum) per la sua campagna elettorale, che poi vinse tra mille accuse di brogli, ebbe come determinan­te sostenitor­e proprio un cantante: l’idolo pop locale Shaaban Abdel-rahim. Ex lavandaio, era considerat­o la voce del popolo, e in testa alle charts discografi­che balzò Parola alla verità, una canzone con cui Shaaban tesseva un elogio a Mubarak, «colui che ci fa sentire sicuri» e che ha dato al Paese ogni comfort: acqua corrente, parabola, telefonino... È la conferma che le canzoni in Egitto hanno sempre avuto un ruolo che va oltre il puro entertainm­ent, non a caso il Cairo è sempre stato il più importante mercato musicale del mondo arabo e dell’africa. Già negli anni Venti del

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