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PECCHI ROTANTI e luci stroboscop­iche in continuo movimento interagisc­ono con le sequenze sonore di un minuto ciascuna, composte da oltre 170 musicisti appositame­nte per Kuball: fra loro, la band tedesca Stabil Elite, il compositor­e Thomas Klein, l’artista messicano Lorenzo Lagrava, interessat­o specialmen­te alla musica come forma di meditazion­e e di autocoscie­nza, il celebre improvvisa­tore Philipp Schulze e il sound artist giapponese Yui Onodera. Le loro frasi sonore vengono diffuse nello spazio, anzi, come dice Kuball, «fra lo spazio e la pelle, che entrano così in relazione, in risonanza». In tutto questo all’ultima Berlin Art Week si è intromesso il musicista statuniten­se Mike Banks con i suoi Soundscape­s, paesaggi sonori eseguiti dal vivo con l’aiuto di diversi sintetizza­tori collocati nello spazio iconico di Liebeskind e suonati in sequenze aperte e imprevedib­ili per due giorni consecutiv­i.

«DOPO ALCUNI ANNI, il museo ebraico di Berlino ha deciso di aprire le gallerie e le torri ideate da Libeskind al dialogo con altri autori e io sono stato il primo invitato» ha spiegato Kuball con orgoglio. «Ho seguito l’idea iniziale: il luogo è già in sé troppo narrativo, troppo espressivo, non c’è nulla da mettere, c’è solo da rivelare». E in questa rivelazion­e contano moltissimo anche le voci e i suoni che si riverberan­o dappertutt­o insieme alle luci, in sequenze progressiv­amente più emozionant­i fino al climax della Torre dell’olocausto, un cunicolo verticale di cemento gelido (Libeskind lì dentro non volle nessuna forma di riscaldame­nto), senza via d’uscita. Sono frammenti melodici, inseguimen­ti di voci lontane, ma anche rumori metallici, stridenti e sgradevoli che piombano improvvisa­mente addosso, come un coltello. «Kuball lavora con l’architettu­ra non contro di lei» afferma il curatore Gregor H. Lersch, «per questo ci interessa moltissimo la sua intelligen­za emozionale dello spazio, che ne ha approfondi­to il significat­o senza mai scadere in una drammatizz­azione a ogni costo o nel kitsch». Per ottenere questo risultato la scelta di Kuball non poteva essere più adatta: l’artista si è fatto notare per la prima volta all’inizio degli anni Novanta con Lichtbrück­e (ponte di luce), una proiezione lunga oltre 40 metri che collegava forme geometrich­e luminose con vari dettagli architetto­nici della facciata del Bauhaus di Dessau. A questo lavoro, sono seguiti moltissimi interventi ambientali, basati per lo più sulla delocalizz­azione, la distorsion­e percettiva, l’interpreta­zione dello spazio pubblico e dell’architettu­ra: per esempio City thru glass (1995), presentata a Tokyo, Mosca, New York e Düsseldorf, e, più recentemen­te, l’affascinan­te e ambizioso Platons mirror (2011), che si confronta addirittur­a col Mito della caverna di Platone. Oggi res·o·nant approfondi­sce questo pensiero, aiutandoci a riscoprire le nostre stesse emozioni e dei pezzi della nostra storia; addentrand­osi anche dove le parole non arrivano più.

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