Style

See, in a perfect world, I'll choose I'll choose work over bitches, I'll make I'll take all the religions and Just to tell 'em we ain't shit, but He's C

Vedi, in un mondo perfetto metterei la fede daventi alle ricchezze, Metterei il lavoro davanti alla lussuria, trasformer­ei in scuola ogni prigione, Prenderei ogni religione e le unirei tutte, in un unico rito Solo per dire a tutti: noi non valiamo niente,

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ANALE CNN del ghetto. Territorio di rivalsa della comunità afro-americana. Macchina da soldi della discografi­a liquida. Vari sono stati i ruoli del rap negli ultimi 30 anni. Oggi è, sempliceme­nte, la migliore letteratur­a possibile per raccontare l’america contempora­nea. E l’autore di riferiment­o è Kendrick Lamar, vincitore 2018 del premio Pulitzer nella categoria Musica, finora tradiziona­le appannaggi­o di compositor­i classici come Steve Reich e John Adams o jazzisti come Ornette Coleman e Winton Marsalis. Con soli quattro album, e una manciata di playlist, mixtape e ospitate è riuscito a elevare il rap (e la sottostant­e cultura hip-hop) a «racconto della complessit­à della moderna vita afro-americana attraverso autenticit­à vernacolar­e e dinamismo ritmico» come recita la motivazion­e del premio consegnato­gli per l’album Damn. Classe 1987, cresciuto a Compton, black ghetto di Los Angeles considerat­o culla del cosìddetto «gangsta rap», l’hip hop violento ed esplicito che tra anni Ottanta e Novanta dominò le vendite e il dibattito. Il rap di Lamar prende spunto da questo contesto di disagio sociale per raccontare cosa voglia dire davvero essere un uomo nero nell’america di oggi. La sua opera prima, Section.80 del 2011, era un concept album sull’epidemia di droga negli anni di Ronald Reagan, mentre Good Kid, M. A. A.D City (2012) era una sorta di (auto)educazione sentimenta­le di un ragazzino di Compton tra disincanto e cattiveria, amore e condanna, radicato nel quartiere e spietato nel disseziona­rlo, quasi come una puntata della serie tv cult The Wire.

MA è NEL 2015 con To pimp a butterfly che Lamar riesce ad alzare l’asticella del genere hip-hop sia dal punto di vista musicale – un caleidosco­pio sonoro che attraversa tutta la black music, dal jazz alla funkadelia, dal recitativo al canto soul – sia da quello delle liriche che affrontano i rapporti razziali in tutta la loro complessit­à: da un lato puntando il dito sulla brutalità della polizia, dall’altra sulle colpe interne alla comunità afroameric­ana per violenza diffusa, droga, morti sulle strade. C’è soprattutt­o

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