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RENDI IL TELEFONO, apri l’app in streaming, cerchi quello che vuoi sentire, premi play. Totale: meno di 30 secondi, e se vuoi cambiare musica bastano un paio di clic.
Alzati, sfoglia la collezione di vinili, togli l’album dalla busta, puliscilo, mettilo sul piatto, abbassa la puntina. Tempo: un minuto e 10 secondi. Molto più del doppio. E se vuoi cambiare? Devi ripetere tutto dall’inizio. Streaming batte vinile? Nella guerra dei formati le nuove piattaforme vincono per semplicità d’utilizzo, portabilità (abbiamo sempre lo smartphone in mano), accesso costante a oltre 40 milioni di brani. Il vinile ha la meglio per qualità del suono (i file compressi mp3 sono ancora scarsi, specie se ascoltati su un buon impianto o con buone cuffie), qualità della grafica, aspetti emozionali e psicologici. L’immaginario del rock, che ha finito per contagiare anche la moda e la cultura, è legato a quell’epoca d’oro. Tutto è nato nel 1948 quando la Columbia decise di lanciare sul mercato il microsolco a 33 giri (imitata l’anno dopo dalla concorrente Rca Victor con il 45) per sostituire i vecchi e fragili 78 giri. Il doppio formato, per album e per singoli, ha dominato fino agli anni Ottanta, quando è stato mandato in soffitta (o in pattumiera e oggi qualcuno se ne pente) da quei cd che non sono mai riusciti a soppiantarne il potere evocativo. Poi, dopo che la rivoluzione mp3 ha smaterializzato la musica (e la pirateria ha quasi fatto sparire anche le case discografiche), con lo streaming stiamo attraversando l’era di passaggio dal possesso all’accesso a un servizio. Il cd si avvia verso la pensione; il download sta scomparendo senza essere mai diventato il formato dominante; Spotify, Apple Music, Tim Music, Amazon e gli altri servizi hanno 230 milioni di abbonati nel mondo. A livello di vendite mondiali, i dati di mercato dicono che nel 2015 il digitale ha raggiunto il fisico, l’anno dopo c’è stato il sorpasso e nel primo semestre di quest’anno anche in Italia la bilancia ha iniziato a pendere verso il futuro. Ma, come il villaggio di Asterix, il vinile resiste all’egemonia dell’impero digitale.
SOLO IN ITALIA IL 2017 ha visto una crescita del fatturato dei cari e vecchi ellepi da 10,6 milioni di euro a 16 milioni (senza considerare l’usato) e della quota di mercato dal sei al dieci per cento. Negli Stati Uniti siamo all’8,5 per cento e in Gran Bretagna al 6,6 per cento. Non è soltanto un oggetto totemico per nostalgici e neo-ludditi. La classifica dei vinili più venduti in Italia nei primi sei mesi del 2018 è a doppia trazione: da un lato gli eterni Pink Floyd (tre titoli tra cui The Dark Side of the Moon nei primi dieci) e altri nomi storici; dall’altro le nuove uscite rap/trap (con Enemy di Noyz Narcos al top). Il vinile è cool, ebbasta.