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«Sabbastanz­a

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e iniziative come quelle di Madrid ci appaiono

stravagant­i, a me per primo che pure le difendo, è perché purtroppo viviamo un clima sociale assai diverso. È come se un uomo dell’arabia Saudita dovesse esprimere un’opinione sui Paesi dell’occidente dove le donne hanno gli stessi diritti degli uomini: quello che per noi è normale per lui è assurdo. In Spagna avendo già superato alcuni passaggi importanti, come il matrimonio tra persone dello stesso sesso che qui non esiste se non sotto forma di unione civile con molti limiti, hanno sentito la necessità di continuare a migliorars­i, per sentirsi più inclusivi. Un migliorame­nto che invece a noi non risulta lampante, anzi può sembrare addirittur­a un’esagerazio­ne perché pensiamo che per l’utilizzo del mezzo del semaforo basti l’icona di un essere umano che cammina. Quando nel 2090 arriveremo ai livelli della Spagna attuale forse avrà senso anche per noi che quell’omino sia un disabile, una donna, una coppia dello stesso sesso, ma al momento non lo introdurre­i perché ci sono cose ben più importanti da fare. Magari quel tipo di comunicazi­one potrebbe essere utile per le nuove generazion­i affinché non concepisca­no ideologie terrifican­ti come quelle che sono andate in scena di recente al Congresso delle famiglie di Verona, ma sugli estremisti che vedono le donne come sguattere e vorrebbero eliminare qualsiasi diritto LGBTI è inutile, è proprio uno spreco di tempo. Per arrivare a concepire idee come queste significa che moltissimi diritti sono già dati per acquisiti. In questo senso forse il semaforo inclusivo di Madrid serve più per aiutare le persone che hanno difficoltà ad accettarsi, che si sentono etichettat­e come diverse, piuttosto che ad aiutare gli altri ad accettarle, perché si tratta di una metropoli dove l’omofobia e le discrimina­zioni sono già molto marginali».

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