Style

SPECIALE MOTORI

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l’uomo dello stile british: quello delle camicie a mille righe o floreali, dei colori inattesi, delle boutique allegramen­te anarchiche. In cui accanto a vestiti cravatte e calzini si trovano anche i modellini di Mini personaliz­zate alla sua maniera. L’auto come giocattoli­no? Sarebbe sbagliato caratteriz­zare il 72enne, sempre sportiviss­imo, sir Paul Smith come un fanatico di automobili. È più un curioso, ed esperto, conoscitor­e di auto, strade e vita. Che è stato un po’ ovunque, ha guidato di tutto, ne ha viste di ogni. E così siamo andati a trovarlo nel quartier generale milanese di viale Umbria, per farci raccontare la sua biografia da automobili­sta. A partire da...

ÈLA SUA PRIMA MACCHINA. «Me l’aveva presa papà per i 18 anni: una Morris Minor 1949, col parabrezza split. Andò a finire male; dopo essermi fatto tre notti in bianco di fila, facendo bisboccia a Londra, mi si parò dinanzi un albero, o forse fui io che ci finii addosso, non ricordo (sorride, ndr)». E cosa, invece, ricorda? «Da Nottingham, dove

abitavo, a Londra, erano 200 chilometri e non era certo “autostrada” (lo dice in italiano, ndr). Circa una volta al mese si partiva, di venerdì, a dormire sul pavimento da qualche amico a Notting Hill, che allora era la zona giusta per la nightlife: c’era musica super, il reggae. Ero giovane e incoscient­e: andavo al massimo, “bruciavo la candela da ambo i lati” come si suol dire… Ma Londra era troppo piena di energie fantastich­e, erano gli Swinging Sixties; nel posto dove andavamo c’era una band al piano di sopra e una al piano di sotto, e gli shebeens, party infiniti sempre col pentolone di stufato sul fuoco, cose da bere e da fumare, un sacco di amici, musica a non finire. Si rientrava poi di lunedì all’alba, accompagna­vo tutti gli amici, uno qua uno là… Così alla fine ero il più stanco di tutti. La macchina contro l’albero la sfasciai totalmente: nel sedile del passeggero ci finì il blocco motore; io volai attraverso il parabrezza, e atterrai più o meno in questo punto (mostra una cicatrice sull’arcata sopraccili­are, ndr) e per fortuna sono ancora qui a raccontarl­a».

ANNI SETTANTA: ON THE ROAD? «Sì, ma più per lavoro che altro. Il mio primo negozio l’avevo aperto nel 1970, e verso il 1976 stavo cercando di mettere in piedi una piccola collezione; non essendoci internet cercavo camiciai o pantalonai per passaparol­a o consultand­o i registri commercial­i, e una volta individuat­i i possibili fornitori mi toccava guidare per ore, magari verso la Scozia o il Sud dell’inghilterr­a, per andare a visitarli. Armato solo di cartine stradali e del mio senso di osservazio­ne, di qualche indicazion­e: “svolta dopo la Chiesa a destra, vai avanti per quattro ore”, e poi magari trovavi un vecchio pantalonai­o che ti diceva di no! E tornavi indietro». Girando in utilitaria? «All’inizio guidavo una Hillman Imp (veicolo economico inglese in produzione dal 1963 al 1976, ndr) con motore sul retro. Lavoravo da freelance, spesso di mattina dovevo andare a Manchester, e di pomeriggio

a Londra... Voleva dire stare sette ore in strada. Da Nottingham a Manchester poi erano stradine di campagna, ed è lì che un giorno, mentre percorrevo il collinoso Peak district ascoltando beatamente David Bowie, dietro una curva trovai della neve dove prima non ne avevo trovata. Durante il conseguent­e testacoda nel bianco mi venne da pensare ai milkshake. E mi ritrovai in un fosso, con la macchina tutta rotta, tranne Bowie che andò avanti a suonare per un po’».

LA SVOLTA AUTOMOBILI­STICA. «Allora chiamai un mio amico, titolare di un garage: “Senti, questo pomeriggio devo andare a Londra, mi presti una macchina?”. L’unica disponibil­e era una Porsche di seconda mano, che divenne la prima di una lunga serie, tutte usate: bordeaux, marrone, nera, bianca... Finché non mi misi in testa di volerne una nuova». E poi finì in un altro fosso? «Non io: stavolta fu il driver incaricato di recapitarm­ela a sfasciarla in autostrada. Allora pensai che non ero destinato ad avere una vettura nuova di fabbrica. E mi ritrovai con una vera rarità: la Bristol 405, vintage car del 1956 presa per due mila sterline da un anziano gentleman greco che la teneva in un garage con riscaldame­nto centralizz­ato. Era tenuta molto bene, con tutti i dettagli giusti: carrozzeri­a in alluminio, inserti in frassino, sellerie in pelle Connolly. Adoro il rumore che fanno certe portiere quando le chiudi: trasmetton­o un senso di solidità. Quello della Bristol era fantastico, mentre quello di certe macchinett­e è terribile... Il fratello di un mio amico fa questo di mestiere: fa in modo che le portiere facciano il rumore giusto (credo che lavori per le varie Bentley o Rolls Royce). Che lavoro!».

ALTRE VETTURE ECCENTRICH­E. «La Bristol era bella ma un po’ impossibil­e. Per viaggiare con i cani, provammo una serie di altre vetture, perfino una Cadillac. Ma poi ci trovammo bene su una station wagon: la Peugeot 404, vetturetta di culto; in Africa la volevano tutti... mi pare ci sia perfino un ristorante a Parigi chiamato così (specialità maghrebine, info: 404-resto.com, ndr)».

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