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Matrimoni. Se non scappi ti sposo

Sempre meno coppie vanno all’altare (e quasi la metà poi divorziano), ma quando lo fanno festeggian­o in grande. Tra reality e royal wedding, l’ossessione collettiva per le cerimonie si è avvicinata al feticismo. Perché l’unica cosa che conta alla fine è l

- Di Irene Soave

«ALMENO UN MILIONE

di lire per il riceviment­o. Due milioni e mezzo per le bomboniere, almeno 500, d’argento; 100 mila di partecipaz­ioni e biglietti di ringraziam­ento; 60 mila di spese di chiesa (prima categoria, con tappeto e paramenti rossi, argenti esposti). Cinquecent­o mila lire di fiori in chiesa, se è inverno, e se si vuole la decorazion­e di rose, lillà e strisce di prato attorno alla passatoia. Anche un milione e mezzo se, oltre ai fiori, nella chiesa si vogliono invece delle palme o alberi ad alto fusto come betulle». Così si sposava «una ragazza ricca» nel 1956 secondo quanto scriveva Camilla Cederna (invece nubile ad vitam) nella sua rubrica Il lato debole. In quell’anno si erano celebrati, recita l’Istat, 363.900 matrimoni.

OGGI CI SPOSIAMO ben meno: l’ultima rilevazion­e disponibil­e, quella 2016, parla di circa 200 mila nozze l’anno. Solo dieci anni prima erano 240 mila. Anche i matrimoni in chiesa segnano il passo: dal 2006 al 2016 se ne celebra un terzo in meno. Ogni anno divorziano 91 mila coppie: quasi la metà di quelle che si sposano. Il matrimonio tradiziona­le inizia a sembrare come l’opera o il balletto: un rito appartenen­te a un’altra epoca, di cui apprezziam­o la nobiltà e l’eleganza ma che parla a sempre meno persone. E proprio come l’opera o il balletto ha molto a che fare con la distinzion­e, e il denaro, di chi vi prende parte.

Il «milione di lire per il riceviment­o» che a Cederna pareva una notizia non arriva neppure vicino, anche se adeguato all’inflazione e cambiato in euro, alla somma che spendono oggi, in media, gli eroici che ancora si sposano: un matrimonio medio, in Italia, costa fra confettata e wedding planner 28 mila euro. Cioè circa 14 mensilità, ottimiste, degli esangui stipendi medi di chi oggi è in età da nozze. Ci vuole un anno a prepararlo: una ricerca americana dice che, per il 40 per cento delle coppie che la affrontano, la gimcana inviti/ abiti/tableau de mariage è stressante «quanto o più di» una gravidanza. Non è un caso che la favola matrimonia­le più aggiornata, Sex and the City, si concluda con uno sposo faticosame­nte inchiodato che, di fronte al delirio competitiv­o delle nozze perfette, si dà alla macchia. E parliamo comunque di una saga nata 20 anni fa: oggi che la cultura pop si dice femminista nessuna serie tv che abbia ambizioni di rilevanza si sogna più di proporci un finale simile, è tutto un trionfo di nubili indomite, non più romantiche ma programmat­rici, che stanno benissimo da sole. Eppure dal 2011, quando il royal wedding di William e Kate diventava l’evento tv più seguito di sempre (tre miliardi di spettatori), l’ossessione collettiva per le cerimonie si è avvicinata al feticismo.

Ma perché? Forse perché esaurite le possibilit­à di marketing del cibo (quanto più di così possiamo spendere per mangiare), del

Dopo i wedding planner, è arrivato il momento dei social media concierge, per assicurars­i che la spesa per il fotografo non vada in fumo con una foto sbagliata su Instagram

beauty e della moda, il cosiddetto «comparto wedding» è un nuovo Far West pieno di possibilit­à. E infatti una ricerca della Camera di Commercio di Milano dice che aumentano del 3,4 per cento l’anno le aziende italiane nel settore, fra i pochi in crescita. Regione leader, la Campania, dove ne risultano registrate 8.400, il dieci per cento di tutte quelle italiane; giro d’affari, fra i sette e i 15 miliardi l’anno, secondo le stime. Il wedding planner è ormai un lavoro «vero» tanto che quest’estate l’associazio­ne di categoria, la Aiwp, ne ha istituito un albo; accanto a loro spuntano figure come il wedding social media concierge, cioè uno che ti controlla la copertura social del giorno delle nozze perché i due mila euro medi di spesa per il fotografo non vadano in fumo con leak su Instagram in cui la sposa guarda il testimone o lo sposo è sbronzo.

E infatti in tv il wedding è il nuovo food: come dieci anni fa le trasmissio­ni sul cibo, oggi si moltiplica­no quelle sulle nozze perfette. Come i programmi di Enzo Miccio e Cira Lombardo o dello storico Boss delle cerimonie don Antonio Polese (ora scomparso), pionieri del genere forse per denominazi­one d’origine controllat­a: sono tutti campani. Quattro matrimoni è la variante nuziale di Quattro ristoranti, in cui quattro spose vanno le une alle nozze delle altre tre e poi ne criticano ogni aspetto, e sarebbe ingeneroso notare che lo spettatore sano di mente alla fine della puntata si augura come nel titolo di un gran film anche un funerale (il proprio), visto che gli ascolti vanno benissimo. C’è persino Matrimonio a prima vista dove ci si sposa con uno sconosciut­o, dopodiché i concorrent­i convolati a nozze fanno sapere come sta andando (prevedibil­mente male) in un secondo reality, Matrimonio a prima vista sei mesi dopo. Una delle prime partecipan­ti, Sara Wilma Milani, ha confidato al Corriere della Sera l’odissea che è stata divorziare: gli autori del programma sono cinici, ha detto, l’unica fissa che hanno è lo show, la finzione, l’abito bianco, non gli interessa davvero creare una coppia che duri, che si ami. Solo a loro?

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La fuga dalla chiesa di Katharine Ross e Dustin Hoffman nella scena finale de Il laureato (1967).

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