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Maurizio Lombardi. Le favole di un non protagonis­ta

Passa con disinvoltu­ra dai panni del cardinale a quelli del manager, da quelli della strega cattiva coi tacchi da drag queen a quelli del pesce in Pinocchio. Maurizio Lombardi, caratteris­ta outsider di Sorrentino e Garrone, in attesa di essere l ’avvocato

- Testo e styling di Luca Roscini - foto di Rankin

Dal 25 dicembre Lombardi sarà nelle sale con Pinocchio di Matteo Garrone e dal prossimo gennaio con

The new Pope di Paolo

Sorrentino.

GIACCONE, FAY ARCHIVE; CRAVATTA, PAUL SMITH

ACCESSORIE­S; ANELLO, DEAMATRIS.

NELLA PAGINA A FIANCO: CAPPOTTO, PIANA.

LORO

«NON BISOGNA SEMPRE CERCARE QUALCOSA DI NUOVO, MA QUALCOSA DI MEGLIO»

HHA LASCIATO sorpresi la foto pubblicata su Instagram da Paolo Sorrentino dove lui, il cardinale Mario Assente di The young Pope, azzarda un passo di danza quasi rubato al John Travolta di Staying Alive. «Tutto è nato a una festa tra amici e colleghi dove ho iniziato a ballare musica tecno; Sorrentino è rimasto così colpito che mi ha chiesto di rifare gli stessi passi e ballare di nuovo sul set». Il set è quello di The new Pope, sequel di The young Pope, serie tv unica e pienamente sorrentini­ana prodotta da Sky, Hbo e Canal+ che vedremo a gennaio 2020. Lui invece, il cardinale gay e amante della danza, è Maurizio Lombardi, attore fiorentino classe 1973, sorprenden­te caratteris­ta, con una lunga storia da profession­ista tra cinema, tv e soprattutt­o teatro, volto che ricorda Buster Keaton, amato dai registi più influenti del cinema italiano. Ha appena vestito i panni del manager di Publitalia Paolo Pellegrini nella serie 1994, ha prestato la sua voce per il film di animazione di Lorenzo Mattotti

La famosa invasione degli orsi in Sicilia e sarà poi uno dei personaggi nel Pinocchio di Matteo Garrone in uscita il 25 dicembre.

La vedremo ballare anche per Garrone? No, non potrei farlo... Nel mio ruolo (nel film interpreta il tonno che riesce a salvare Pinocchio e Geppetto dalla pancia del pescecane, ndr) la mia fisicità è piuttosto bloccata; indosso infatti una maschera realizzata su un calco mentre il mio corpo di pesce è stato aggiunto in postproduz­ione.

Nel film c’è anche Roberto Benigni nella parte di Geppetto. Com’è stato il rapporto con un altro toscano come lei? Lui è come se venisse dalla Luna, un personaggi­o antico: è silenzioso e osserva tutto. Da lui si può imparare molto; con lui poi ci si diverte, come del resto anche con Massimo Ceccherini che nel film interpreta la Volpe, un attore folle e saggio con cui abbiamo riso come bambini: Garrone ci rimprovera­va spesso durante le riprese.

Ha ancora senso oggi una fiaba storica e anche un po’ dimenticat­a come Pinocchio ai tempi dei kolossal Disney? Si tratta di una favola attualissi­ma in quanto «nera», come quelle dei fratelli Grimm o come il teatro greco: si spaventano i bambini per insegnare loro la paura e vaccinarli a ciò che la vita può riservare. La modernità in Pinocchio è il fatto che la fiaba parla essenzialm­ente di solitudine: Geppetto si crea una marionetta per non essere solo, così come oggi si progettano robot per farci compagnia.

Non è la prima volta che lei si rapporta al mondo delle favole... A teatro ho portato molto spesso fiabe riscritte da me, rendendole comiche o inaspettat­e. Non a caso in Biancaneve ho voluto trasformar­e la strega cattiva (che ho anche interpreta­to) con tacchi rossi da pornostar e trucco ispirato a Moira Orfei.

Anche la favola di Biancaneve è moderna quanto Pinocchio? Basti pensare alla frase più famosa, «Specchio, specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?», cos’è se non il modo di rivolgerci ai nostri smartphone, in caccia dell’immagine migliore? Tutti noi oggi abbiamo uno specchio, il cellulare, e a quello chiediamo continuame­nte chi è la più bella del reame.

Le favole sono ancora un bacino importante di insegnamen­to: che cos’è e quanto è importante la tradizione per lei? La tradizione è modernità e dentro di essa c’è un valore positiviss­imo. Bisogna tramandare e non tradire, consegnare il testimone a chi verrà dopo, specie in questo momento in cui siamo fatti di immagini, velocità e superficie; avere la possibilit­à di trarre stimoli dalla tradizione per andare avanti è una cosa totalmente moderna perché ti abbeveri a ciò che è radicato. Ad esempio se oggi un attore non sa ballare o cantare o non conosce la storia del costume non è contempora­neo e non può prescinder­e dai grandi esempi del nostro passato: Dario Fo, Gigi Proietti e Giorgio Gaber. Non bisogna sempre cercare qualcosa di nuovo bensì qualcosa di meglio.

Anche in The young Pope si racconta di una tradizione, quella del potere in Vaticano. Com’è andata con Paolo Sorrentino e com’è lavorare con lui? Feci un provino per La grande bellezza ma non

fui preso, poi venni chiamato per il ruolo del Cardinal Assente. Sorrentino è uno dei pochi registi che ti fa provare le stesse emozioni e l’apprension­e del teatro, ti pone di fronte a una sfida con te stesso che è recitare in inglese monologhi lunghissim­i senza poter mai commettere errori dato che gira con più macchine e sbagliare significa buttare via il girato di almeno tre cineprese.

Tra l’altro il suo personaggi­o nella prossima serie avrà un ruolo molto importante...

Si scoprirà un soggetto sfaccettat­o, fragilissi­mo... E innamorato.

Ci sono aspetti della sua carriera che la rendono un outsider. Il più evidente è che continua a interpreta­re ruoli sempre diversi, eterogenei e talvolta opposti. Questo significa essere un caratteris­ta o i registi fanno fatica a «creare» un ruolo per lei? Credo di essere molto versatile ma anche piuttosto insicuro e questo i registi lo sanno e amano crearmi ruoli sempre diversi. Comunque mi annoierei se dovessi interpreta­re sempre lo stesso personaggi­o.

Il ruolo che sta aspettando? Mi piacerebbe interpreta­re Gianni Agnelli. Oppure un serial killer transessua­le. Ma sempre diretto da Sorrentino, magari dopo l’Andreotti de Il divo e il Berlusconi di Loro...

I suoi personaggi hanno sempre un’immagine molto curata, una passione per lo stile che l’accomuna con loro. È un caso?

No, mi piace vestirmi bene, farmi fare abiti su misura. Per un attore poi è fondamenta­le capire lo stile perché la prima cosa che si vede al cinema sono i costumi: non ci sarebbe Blade Runner senza il cappotto di Harrison Ford o Il portiere di notte senza le bretelle sul seno di Charlotte Rampling.

Non ci sarebbe neanche The new Pope senza l’abito del Cardinal Assente? Eh sì. È stato fatto su misura da una sartoria del Vaticano dove ci sono tessuti e sarti straordina­ri. Una volta indossato ho capito che è un capo comodissim­o ma anche ambiguo: sotto la tonaca chiusa con 33 bottoni, come gli anni di Cristo, si può anche non indossare nulla...

Quindi l’abito fa il monaco o, meglio, il cardinale? Sì. Soprattutt­o per gli attori. Su questo abbiamo molto da imparare dagli americani che hanno una cognizione della propria immagine più profonda della nostra.

Ha fatto molto teatro da protagonis­ta ma nelle grandi produzioni è sempre un personaggi­o straordina­rio pur se marginale. Il suo vero ruolo deve ancora arrivare? Forse sì. In fondo mi sento molto vicino al ruolo di Paolo Pellegrini in 1994, un personaggi­o che sta in disparte e osserva, uno che nessuno considera. Nonostante poi nella serie ci sia un episodio tutto per me ma dove non sono comunque il protagonis­ta, i veri protagonis­ti sono gli altri: Stefano Accorsi, Miriam Leone, Paolo Pierobon.

È una cosa che le dispiace? No. Rispondere­i con la battuta conclusiva della puntata di 1994: «Ma a me che cazzo me ne frega?».

IL CARDINAL ASSENTE AVRÀ UN RUOLO CHIAVE IN THE NEW POPE

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