Televisione. Il ritorno dell’autore
Come avveniva con i grandi sceneggiati Rai del Novecento, nelle serie tv di oggi la dimensione autoriale è sempre più importante. Perché le cose cambiano ma la tradizione viene assorbita. E il mezzo si evolve
DAL DOPOGUERRA a oggi, e pure con differenze notevoli tra Europa e Stati Uniti, la tv rimane consapevole del suo potere di «cantastorie». Nella percezione collettiva, però, la dignità della narrativa televisiva in sé è stata raramente riconosciuta prima degli ultimi 20 anni. Storicamente inferiore rispetto al cinema quanto a valore produttivo, e ai libri quanto a rilevanza culturale, il piccolo schermo è rimasto a lungo legato alla trasposizione della grande letteratura, come accadeva in Gran Bretagna e in Italia tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. La parola utilizzata nel nostro Paese era «sceneggiato»: opere come Il conte di Montecristo, I promessi sposi e Pinocchio venivano tradotti dalla Rai nel linguaggio del tubo catodico e scandite in pochi episodi. Attori acclamati quali Alberto Lupo, Carla Gravina o Giorgio Albertazzi venivano convogliati in quelle che oggi chiameremmo «miniserie d’autore», con numerose incursioni in generi oggi poco frequentati come il mystery e la fantascienza (si pensi allo sceneggiato Il segno del comando girato da Daniele D’Anza). Si trattava, però, di lavori
«di seconda mano», che assumevano valore anche perché nascevano da fonti «di prima mano».
Negli anni Novanta, un po’ in tutto il mondo,
si afferma la serialità delle reti commerciali statunitensi. Si tratta di prodotti nella maggior parte dei casi originali, slegati dalla cultura alta se non grazie al lavoro di alcuni teorici e critici che l’hanno esaminata a posteriori: è la tv di Friends, Seinfeld e X-Files, che diventa sinonimo di intrattenimento ludico pensato per il contesto casalingo. Questi show sono articolati in numerose stagioni
(nove o dieci) e in molti episodi per stagione (spesso 24 o più), in un sistema in cui regna sovrana la pubblicità: gli autori scrivono pensando agli spazi dove inserire gli spot, e questi spazi durante il prime time o all’ora di cena vengono venduti a caro prezzo. A sceneggiare sono spesso in molti, nelle cosiddette «writers’ room» costruite per andare incontro ai ritmi serrati della messa in onda settimanale. Sono i tempi in cui, nella maggior parte dei casi, autori e attori blasonati navigano nella direzione del grande schermo disertando il piccolo.
Intanto, però, le reti via cavo quali Hbo abbracciano il formato più breve – poche stagioni con un numero variabile di puntate – generando inconsapevolmente il futuro della «tv di prestigio». Un genere che avrebbe sollevato paragoni con la letteratura, con show come I Soprano e Sex and the city che vengono equiparati a «romanzi televisivi». Si arriva così alla televisione degli anni Duemila, capace di generare storie come Lost, Mad men o Breaking bad: grandi narrative per il piccolo schermo che contribuiscono a trasformare l’episodio settimanale in evento collettivo, elevando la serialità a forma d'arte. Con gli anni Dieci, poi, siamo entrati nell’epoca dello streaming, che ha proseguito nel solco delle serie brevi e di alto livello «à la Hbo»; ma nello stesso tempo si registra un ritorno alle coordinate autoriali dello sceneggiato italiano, senza la dipendenza dal romanzo o dalla pubblicità.
Man mano che si moltiplicano le piattaforme come Netflix – oggi abbiamo Amazon Prime Video e AppleTv+, a breve dovrebbero arrivare Disney+, Hulu e chissà cos’altro – aumentano anche la domanda e l’offerta di contenuto. Le stagioni si stanno accorciando, il bisogno di contenuti di valore è sempre più forte e non è un caso che molti talenti del cinema siano sbarcati nel mondo delle serie tv. Ormai non si parla più di semplice fruizione, un termine che è diventato sinonimo di passività, ma di «esperienza di visione». Lo spettatore di oggi ha moltissima scelta e sarà messo sempre più nelle condizioni di decidere quale esperienza fare: accanto a fenomeni globali figli degli anni Dieci quali Il trono di spade, c’è spazio anche per show artigianali e cortissimi come Fleabag di Phoebe Waller-Bridge. Ma non sarebbe corretto sostenere che si tratti di un «eterno ritorno». Le cose cambiano, eccome, ma la tradizione viene assorbita e il mezzo si evolve. Ancora non sappiamo dove ci porterà questa evoluzione, ma certamente sarà interessante restare a guardare.
Nei Duemila prodotti come Lost e Mad men hanno contribuito a trasformare l'episodio settimanale in un evento collettivo