Franca Valeri. Se Dio vuole Natale passa
Con ironia e determinazione sta attraversando un secolo. Franca Valeri insegna l’importanza di affrontare la vita sapendo ridere
CERTO, TUTTO PASSA. È come passa che bisogna vedere… «Improvvisamente, davanti a una marea di pacchi di regali ho sentito una stanchezza, direi un vuoto esistenziale, che è un sintomo un po’ scontatello ma sempre molto ma molto sgradevole, che tutti gli anni alla stessa data la stessa gente mi portasse pressappoco la stessa roba con gli auguri e tanti abbracci ero stufa stufa stufa: la noia, la monotonia, la stronzaggine. Poi come Dio vuole sono arrivati gli amici… Insomma come Dio vuole il Natale è passato». Quando lo sente Franca Valeri ride ancora: «Carino, divertente». Le parole dello sketch sono sue e risalgono ai primi anni Ottanta, non è una vita fa eppure «tante cose sono cambiate». Ma non il suo sorriso che, invece, c’è sempre nonostante ora sia una signora un po’ agée (come lei stessa scrive «è bello vivere il tempo che ci è stato assegnato, e il mio è già comunque ragguardevole», Il secolo della noia, Einaudi). E così lei, che ha praticamente quasi attraversato un secolo, diventa la tradizione. Nonostante sia davvero difficile riuscire a conservare intatta una tradizione, persino quella natalizia: «Finché non è stata falciata dalla guerra e dalla morte mi ritrovavo con la famiglia; poi gli amici; ora è tornato un momento felice perché ho creato un’altra famiglia, stabile e fondata sull’amore, che è la cosa più bella».
«Certo, purtroppo qualche volta il Natale sfugge perché la gente, stupidamente (e quando pronuncia questa parola viene subito alla mente la sua voce che diceva “cretinetti” ad Alberto Sordi in Il vedovo del 1959, ndr), non ha più il senso della tradizione. C’è una certa, direi proprio troppa, superficialità e ognuno fa i conti con i suoi problemi ma, alla fine, neppure le coppie stanno più in piedi. Chissà perché…».
Artista, attrice al cinema (innumerevoli film) e a teatro (tantissime pièce), autrice (15 i libri pubblicati),
amante della musica («miei amici sono la signora Scienza e il signor Arte»), ma «la definizione che più mi fa sentire a mio agio è comica. Riconosco in me la capacità di far ridere: c’è chi porta in sé la comicità e sa distribuirla. Con Adriana Asti ci si divertiva, adesso mi parlano bene di Lella Costa, ma in giro ci sono anche sciacquette; non s’impara né s’insegna a far ridere. A me è successo e ne sono felice. È così».
Quale tradizione ricorda dal mondo degli attori? «Nessuna che non sia superficiale. Io poi non sono neppure scaramantica». Verissimo: chi altri debutterebbe di venerdì 17? «Eravamo a Parigi con la compagnia del Teatro dei Gobbi, Alberto Bonucci, Vittorio Caprioli e io; è andata così bene che abbiamo pensato “teniamolo questo venerdì 17”. Nel trio ero io la figura più importante: i due uomini mi tenevano in gran pregio, non c’erano differenze di sesso, gli uomini amavano le donne quanto le donne amavano gli uomini».
E, a proposito di donne, lo aveva già detto tempo fa a Firenze: «È importante che le giovani non si dimentichino mai di essere intelligenti; sono necessarie, non si può fare a meno della parte femminile; saperlo è una forma di femminismo, anche se a me non piace il termine, però bisogna essere coscienti che non si tratta di una militanza bensì di un sentimento». Ma non era forse una forma di autonomia, di femminismo, anche il famoso sketch che, infatti, continuava: «A casa Gianni ha cercato di capire e siccome gli uomini sbagliano, lui ha cercato di portarmi a letto… Quella cosa lì con Gianni: Natale in pieno proprio».
Il cibo, ci racconta, «ricorda chi siamo. Di tante persone rammentiamo quel che mangiano, ad esempio se sento il profumo di una brioche al burro mi torna in mente mio padre in Svizzera. È il cibo, forse, la più grande tradizione». E torniamo a sorridere sul passato: «Dopo un paio di giorni vado a un cocktail con Gianni, stiamo mangiando dei volavanini e trac, improvvisamente, mi ripiglia il Natale. Sai quella sensazione di non provare gusto per niente, mi sono detta: per carità cambia posto, cambia salatino…». Quali sono i suoi piatti preferiti? «Parecchi, dal risotto alla milanese al bollito fino alla polenta: vengono tutti dalla tradizione lombarda. Ma adesso dobbiamo pensare noi ai pranzi perché non ci sono più le cuoche… A proposito bisogna chiamare Sant’Ambroeus (storica pasticceria di Milano, ndr) per il panettone. Altrimenti dov’è la tradizione?». Ecco Franca Valeri, una signora che stufa stufa stufa non è di certo anche perché «essendo io una che fa ridere detesto annoiarmi!».
«A casa Gianni ha cercato di portarmi a letto... Quella cosa lì, con Gianni, Natale in pieno proprio!»