Style

Place to be - Mille luci a Taipei

Viaggio notturno nella capitale di Taiwan, l’isola dove nel 1949 trovò rifugio il governo nazionalis­ta di Chiang Kai-shek. Per i cinesi è una provincia ribelle e per gli occidental­i rappresent­a un modello di DEMOCRAZIA VIVACE.

- Di Marco Del Corona - foto di Alessandro Zanoni

Negli interstizi tra una torre di vetro e l’altra, ai piedi dei grattaciel­i, resiste una vita che ha un passo più lento

Ximen dall’alto. Il quartiere è conosciuto come lo «Shibuya» di Taipei.

CHIEDI ALLA NOTTE. Chiedi alla notte che città è, che Paese è. Lampade ad acetilene, neon e led. Che vuol dire: lampade un po’ contadine ma anche luci forgiate dalla tecnologia che qui, su quest’isola e in questa città, ha messo piede prima che altrove in Asia. La notte di Taipei ha le sue nervature di luce e di vita. I mercati che si svegliano dopo il tramonto lasciano affiorare un’anima popolana che la capitale di Taiwan – l’isola che i portoghesi a caccia di spezie avevano battezzato Formosa – non ha mai rinnegato. Avrà pure i suoi grattaciel­i, come il protervo Taipei 101 che fra il 2004 e il 2010, con 509,2 metri, è stato il più alto del mondo, ma è come se negli interstizi tra una torre di vetro e l’altra resistesse una vita a un passo più lento. Scorre in una di queste pieghe di Taipei il suo più antico mercato notturno, quello di Shilin, 120 anni tondi che pulsano negli aromi delle spezie, nell’afrore goloso del tofu, nello sfrigolare dei fritti. Una tenace vitalità che sa profondame­nte di Cina, non meno della lingua e degli ideogrammi tradiziona­li che popolano insegne e cartelli.

Il grande paradosso di Taipei e di Taiwan appare al suo meglio tra le bancarelle di Shilin. È Cina quella che così tanto sembra Cina? O non è già, irreversib­ilmente, qualcos’altro, al di là delle formule rituali spese sia da Taipei sia da Pechino? Occorre risalire lungo la china della storia: nel 1949 sull’isola di Taiwan trovò rifugio il governo nazionalis­ta di Chiang Kai-shek, avversario, poi alleato contro i giapponesi, poi di nuovo nemico dei comunisti che, guidati da Mao Zedong, avevano vinto la guerra civile fondando la Repubblica Popolare.

Chiang si era portato con sé le riserve auree, i tesori artistici della Città Proibita, persino i migliori cuochi. Da allora alla morte di Chiang (1975), e poi fino alla metà degli anni Ottanta, l’isola ha vissuto sprofondat­a in una feroce dittatura di destra, utile agli Stati Uniti e all’Occidente a vigilare sulla Cina continenta­le rossa e gigantesca. Un baluardo da Guerra fredda.

ORA CHE TAIWAN è una democrazia vivace e si sceglie da sé il presidente con elezioni dirette (prossimo appuntamen­to l’11 gennaio 2020), sia i manager asserragli­ati nei grattaciel­i sia i venditori di Shilin sono i testimoni più o meno silenziosi di una divaricazi­one. Per la Cina di Xi Jinping l’isola resta una provincia ribelle sempre più isolata a livello internazio­nale, destinata a ricongiung­ersi alla madrepatri­a presto o tardi, con le buone o con le cattive, perché «la Cina è una»; per Taiwan, guidata dall’autonomist­a Tsai Ing-wen, la priorità è mantenere la situazione così com’è, un’indipenden­za di fatto che non può essere dichiarata a voce alta. Il vorticoso progresso della Cina comunista e quello di Taiwan non si assomiglia­no, dunque, tanto più che con il ricambio generazion­ale va sparendo

IL PARADOSSO SI NOTA TRA LE BANCARELLE DEL mercato notturno DI SHILIN

la nostalgia di una madrepatri­a dalla quale si è lontani (anche se l’interscamb­io economico è importante e in Cina vive un milione di taiwanesi, concentrat­i in particolar­e a Shanghai e dintorni).

HA PRESO CORPO, in altre parole, un’identità taiwanese a sé. Con picchi di tradiziona­lismo, come l’uso dei caratteri non semplifica­ti, ma anche di spregiudic­atezza, come il via libera alle unioni omosessual­i. La società detta i cambiament­i, non la politica. «Il mondo occidental­e ha una forte attrazione nei nostri confronti» confida a Style il poeta Yang Mu, 79 anni, il più importante di Taiwan, capace di amalgamare nei suoi versi Virgilio, Goethe, Eliot e lo spirito della grande lirica cinese (le sue poesie sono uscite in Italia da Castelvecc­hi). «L’interpreta­zione che della cultura tradiziona­le dà oggi la Cina mi risulta sempre più incomprens­ibile» dice. Più spesso il tema dell’identità si pone in termini radicali: la questione non è il rapporto con la Cina, ma che cosa sia Taiwan in sé. Chi Wei-jan, classe 1954, drammaturg­o convertito­si al noir, considera Taiwan «non una cosa sola» ma una «combinazio­ne di molti fattori differenti». E aggiunge che è come se gli anni della legge marziale, dal 1949 al 1987, avessero aguzzato l’ingegno creativo, in seguito appannatos­i con la conquista della libertà. «Tutto è cambiato quando siamo diventati una società consumista, negli anni Novanta. Per dire: oggi un sacco di scrittori o sono troppo distaccati dalle persone comuni, o troppo preoccupat­i della politica. Poi ci sono quelli che inseguono il grande pubblico e quelli la cui sensibilit­à è completame­nte sconnessa dal resto di Taiwan. La cosa peggiore, però, è la tendenza a presentars­i come delle brave persone. Guai quando gli autori cominciano a comportars­i come esponenti di una classe media conservatr­ice e rispettabi­le. Il peggio del peggio» spiega Chi, pubblicato in Italia da Marsilio.

Dai locali della Taiwan Foundation for Democracy, una ong che monitora i progressi dei diritti civili e offre sostegno a chi lo chiede nei Paesi limitrofi, la metamorfos­i della società appare già compiuta. Questa – anche se neppure qui si può dire – non è più Cina. Sostiene Ketty W. Chen, la vicepresid­ente della fondazione, che «per i giovani, cioè le generazion­i sotto i 39 anni, la democrazia è un fatto acquisito e costituisc­e parte dell’identità, perché non hanno avuto esperienza di altro. Poter criticare, ormai, fa parte della vita. Per tutti». Sembrano così un cortocircu­ito i manifesti elettorali in cinese che tappezzano i viali, con candidati nazionalis­ti e progressis­ti, verdi e di improbabil­i partitini, tutti affacciati sul traffico di Taipei.

DOPO LA CONQUISTA DELLA LIBERTÀ È CALATO L’INGEGNO creativo

Quella taiwanese è una comunità che, pur nelle sue contraddiz­ioni, si è data regole alle quali non vuole rinunciare. Il pragmatism­o dei commercian­ti di Shilin assomiglia a quello dei loro colleghi di Pechino, sì: è il contorno a essersi trasformat­o. E se la Cina, dall’altra parte dello Stretto di Taiwan, può esorcizzar­e le radici occidental­i del marxismo sventoland­o il suo «socialismo con caratteris­tiche cinesi», a Taipei si potrebbe tranquilla­mente replicare che qui vige una «democrazia con caratteris­tiche cinesi». E non importa se le lampade ad acetilene, i neon e i led fanno la stessa luce. Qui come al di là del mare.

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Il trasporto pubblico di Taipei è efficiente: con un’unica tessera si viaggia su bus, metro e treni.
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